Sono stati eroi per qualche settimana, ora i medici sono diventati untori
Oltre l’emotività della quarantena. I dottori e gli infermieri ora vengono accusati di veicolare il virus
Roma. Erano eroi fino a un mese fa, medici e infermieri, adesso vengono scambiati per untori. Succede quando è l’emotività a orientare i comportamenti e le scelte pubbliche. A Lucca una infermiera che lavora nel reparto malattie infettive ha trovato un biglietto dei vicini con un “ringraziamento”: “Grazie per il Covid che tutti i giorni ci porti in corte. Ricordati che ci sono anziani e bambini”.
Stesso trattamento a Milano per un geriatra, contagiato a marzo, che ha raccontato l’episodio al Corriere: “Qui abitano anziani, attento. Potresti prenderlo di nuovo, il Covid. Smettila di andare a lavorare”; “Tienili a casa i bambini, lontani dal cortile e dall’ascensore”. Eppure, ha spiegato lo stesso medico, “lo stigma sociale, se isola le famiglie, può tra l’altro comportare maggiori difficoltà a controllare il contagio. Potrebbe spingere le persone a nascondere la malattia o non chiedere subito aiuto per evitare possibili discriminazioni”.
Anche i medici specializzandi sono finiti sotto accusa. A Padova, il direttore sanitario dell’azienda ospedaliera, Daniele Donato, ha detto che la diffusione del contagio nel personale sanitario sarebbe avvenuta “nei momenti di socializzazione al di fuori dell’area assistenziale” tra gli specializzandi: “Nel momento in cui erano in ospedale e dovevano seguire tutte le misure di barriera erano estremamente precisi e monitorati, ma nel momento in cui si trovavano nella loro sala per mangiare un panino assieme o per usare il computer, questi comunque hanno trovato dei momenti di contatto e di comunione che hanno favorito la trasmissione del virus”, ha detto Donato, scatenando la comprensibile reazione dei medici specializzandi che lunedì hanno scioperato. “Cioè, io sono due mesi che mi taglierei un braccio per una birra al bar e mi dite pure che ho una vita sociale attiva?”, dice un medico specializzando a Padova. “Ci hanno pure mandato una email per fare i turni volontari nei reparti Covid, noi abbiamo pure risposto e ci siamo andati”, aggiunge.
C’è poi la questione dell’imbuto formativo e del nuovo concorso. Il ministro dell’Università Gaetano Manfredi ha detto ad aprile in audizione alla commissione cultura della Camera che la selezione sarà a luglio. Alcuni giovani medici però, che in attesa di poter fare il concorso hanno lavorato nelle Usca, le unità speciali Covid, sono perplessi: “Cosa pensa di fare il ministro per tutti i medici che, verosimilmente, saranno in quarantena a luglio? Perché ce ne saranno sicuramente: io in primis, che da giugno lavorerà nelle Usca potrei essere uno di quelli”, dice al Foglio il dottor Francesco Possanzini, giovane medico in attesa di poter fare il concorso. Secondo una bozza spedita dal ministro della Sanità al Mef con misure da inserire nel decreto aprile (nel frattempo diventato decreto maggio con il rischio di diventare giugno) ci dovrebbe essere un aumento di circa 5000 contratti di formazione: “La disposizione reca un incremento progressivo delle vigenti autorizzazioni di spesa pari a 125 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2020 e 2021 e di 130 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022, 2023 e 2024. Tale incremento finanziario consentirà di aumentare per l’anno 2020 di 5000 unità il numero dei contratti di formazione medica specialistica dai medici, e le risorse previste per gli anni successivi consentiranno il perfezionamento del relativo corso di perfezionamento”. Per il dottor Possanzini tuttavia “non si può continuare a puntare tutto sulle 5 mila borse e il test a luglio come contentino, perché il problema è molto più grande, e riguarda non solo 23 mila medici in bilico, ma anche una riforma del sistema delle specializzazioni e un salvataggio necessario del Ssn. Da qui a 5 anni ci saranno decine di migliaia di pensionamenti, aggravati da quota 100, e non si risolve con 5 mila borse. Se il governo non agisce subito facendo partire una riforma a prescindere dalla data del test di quest’anno, il malcontento sarà tale che l’idea dello sciopero prenderà sempre più forma”.
Carlo Palermo, segretario nazionale di Anaao-Assomed, l’associazione dei medici dirigenti, è però convinto che le cifre sono sufficienti a tagliare “in modo consistente l’imbuto formativo. Per azzerarlo del tutto bisognerà prevedere un finanziamento dello stesso livello anche per il ciclo che inizierà nel 2021. Ora speriamo che i controllori di via XX settembre siano generosi. Altrimenti dobbiamo sperare nel Mes superando le ritrosie ideologiche che pervadono anche settori della maggioranza. E’ difficile dire no in questo contesto a 36 miliardi da destinare solo alla sanità”. Il problema per gli specializzandi, dice Palermo al Foglio, “a mio parere è quello di passarli fin dal primo anno ad un contratto di formazione lavoro e ad una formazione sul campo. È necessario, pertanto, individuare dei Teaching Hospital o meglio dei Learning Hospital con tutor ospedalieri che seguano e certifichino la progressiva acquisizione di autonomia professionale da parte degli specializzandi”.
Concretamente questo significherebbe, dice Palermo, un “anticipo previdenziale di 4 o 5 anni; uno stipendio prossimo a quello degli ospedalieri; tutele assicurative; tutele sindacali (ferie, riposi, orario di lavoro)”. Ma soprattutto, dice Palermo, “il contratto di formazione lavoro permetterebbe con una apposita modifica della legge 502/92, l’assunzione, dopo concorso ovviamente, direttamente con un incarico professionale eliminando la fascia del dirigente medico in formazione che nella attuale normativa della carriera dura 5 anni. L’anticipo significa un incremento di 15 mila euro l’anno rispetto agli step vigenti”. Questo secondo Palermo sarebbe un modo concreto per non dimenticarsi dei medici proprio adesso. Anche per le politiche della sanità italiana insomma serve una fase due.
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