(foto LaPresse)

L'Europa dimostri di essere davvero unita, almeno sul fronte della salute

Enrico Bucci

Pazienza per il Remdesivir, ora non si resti indietro sul resto

Il primo trattamento per il Covid-19 approvato dall’Unione europea è il Remdesivir. Tecnicamente, si tratta di un’autorizzazione condizionale all’immissione in commercio; ma questa autorizzazione è giunta in tempi velocissimi, meno di un mese dopo le raccomandazioni ricevute dall’ Ema (Agenzia europea per i farmaci) e di alcuni stati membri, e segue un iter altrettanto veloce con cui Ema era giunta a raccomandarne l’adozione. Remdesivir è un farmaco che era stato originariamente sviluppato per trattare altro, ma che già prima dell’emergenza da Sars-CoV-2 aveva mostrato una certa attività contro i coronavirus. Si tratta di un inibitore della polimerasi virale, cioè di quel complesso macchinario molecolare che replica il genoma del virus, creandone molte copie; se vogliamo, possiamo immaginare la polimerasi come una minuscola fotocopiatrice, che crea tantissime copie di un testo – il genoma del virus – a partire dall’originale, e il Remdesivir come un ancora più piccolo attrezzo, che piazzato fra gli ingranaggi di quella fotocopiatrice ne blocca il funzionamento, inceppandola in modo definitivo. Scoppiata l’epidemia di Covid-19, la ricerca scientifica è proceduta di gran carriera, forte delle informazioni disponibili contro altri coronavirus, testando il composto in vitro su cellule infette e trovandolo efficace a concentrazioni utili per la clinica; indi si è proceduto alla determinazione della struttura tridimensionale della polimerasi virale, in complesso con il Remdesivir – cioè si è visualizzata la minuscola “fotocopiatrice inceppata” in 3D; poi vi sono state alcune indicazioni di efficacia in animale, e quindi le prove cliniche in umano. Queste hanno dimostrato che, sebbene il farmaco non sembri in grado di diminuire la mortalità quando somministrato a casi che richiedono ossigenazione, in realtà ne favorisce la più rapida dimissione ospedaliera in caso di recupero; il che, naturalmente, significa conseguenze meno gravi per chi guarisce e un turn over dei posti in ospedale più rapido, in tempo di crisi.

  

Adesso, la casa produttrice del farmaco – la Gilead – ha annunciato che sono in partenza delle prove cliniche in cui il farmaco sarà somministrato per inalazione, invece che per via iniettiva, consentendo così di trattare pazienti in stadi più precoci, anche prima che siano ospedalizzati; soprattutto, si spera che nella fase iniziale dell’infezione, quando l’organismo non sia ancora troppo compromesso e la risposta immune non sia ancora deragliata nella tempesta citochinica, i risultati siano ancora migliori di quanto osservato in pazienti più gravi.

  

Tuttavia, queste buone notizie provenienti dall’Unione europea sono in parte temperate dal fatto che pochi giorni fa il dipartimento di salute pubblica degli Stati Uniti ha annunciato l’acquisto di quasi tutta la produzione di Remdesivir che la Gilead può assicurare nei prossimi tre mesi, in modo da rifornire i propri ospedali con mezzo milione di dosi. Questo significa che il resto del mondo, a meno che l’azienda produttrice non riesca ad aumentare la produzione in modo estremamente rapido, rischia di rimanere sprovvisto del farmaco, Europa inclusa; e l’approvazione appena ricevuta in quest’ultima parte del mondo per la commercializzazione, assomiglierebbe a una beffa, nel caso in cui non si riuscisse a procurarsi il medicinale.

  

Quando più volte da queste pagine ho scritto che, per fronteggiare il rischio di un ritorno del virus (o per affrontare la situazione in paesi ove questo è ancora fortemente presente) è necessario fare scorta negli ospedali di ciò che serve, intendevo fra l’altro esattamente questo. Cerchiamo di non rimanere indietro anche con Tocilizumab e desametasone, oltre che con le dotazioni di protezione individuale del personale medico, proprio come sembra stia invece accadendo con il Remdesivir. E speriamo che, nelle trattative con i colossi farmaceutici, l’Unione europea non si riveli essere solo una sigla vuota o un coacervo di litigiosi vicini, incapaci di coordinare una politica rapida ed efficace che garantisca ciò che serve alla salute dei propri cittadini.

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