Quanto rischiano i nostri figli
Due motivi per cui non ci accorgiamo dei focolai di coronavirus tra i bambini
Ancora più che negli adulti, nei bambini una larga fetta delle infezioni da SARS-CoV-2 è asintomatica.
Questo risultato, già confermato da precedenti lavori, è stato nuovamente ritrovato in uno studio appena pubblicato su JAMA Pediatrics, che ha preso in considerazione 91 bambini in Sud Corea, che ha avuto il vantaggio rispetto agli studi precedenti di considerare separatamente bambini asintomatici, presintomatici e sintomatici (quasi tutti in forma lieve o moderata).
Innanzitutto, gli autori sottolineano come il 93 per cento dei bambini infetti nel campione considerato non sarebbero stati individuati, se si fosse limitato il test ai soli soggetti sintomatici.
Inoltre, gli autori osservano come tutti i bambini infetti – che siano sintomatici o meno, con infezione delle vie aeree superiori o inferiori – continuavano ad essere positivi per l’RNA del virus per periodi di tempo lungo, con 4 bambini asintomatici ancora positivi a 21 giorni dal primo test.
C’è da dire che questo studio presenta numerosi limiti, e non va considerato come la prova definitiva della pericolosità dei bambini, per esempio, nel contesto scolastico.
Il primo di questi limiti consiste nel mancato rilevamento dell’infettività dei bambini positivi. Mentre negli adulti disponiamo di qualche dato che correla sia il tempo trascorso dal primo sintomo che la quantità di RNA virale alla possibilità di ottenere virus coltivabili da un tampone positivo a RNA – condizione necessaria, ma non sufficiente per la trasmissibilità del virus – per i bambini questo dato manca del tutto, e questo studio non colma questa mancanza.
Inoltre, la descrizione qualitativa del risultato da parte degli autori del lavoro in questione – che distinguono solo tra bambini positivi e negativi al test – implica che l’infettività dei bambini positivi, non investigata in nessun modo, non può essere nota nel campione considerato; ciò lascia aperta la questione della maggiore o minore infettività dei bambini e quindi del maggiore o minore rischio costituito dalla riapertura delle scuole.
Anche in studi precedenti, come in uno studio su 192 soggetti infetti americani tra 0 e 22 anni pubblicato il 19 agosto su “The Journal of Pediatrics”, non si è affrontato direttamente il problema dell’infettività dei bambini: tuttavia, in quello studio si è almeno quantificato il livello di RNA virale nelle tre fasce di età considerate (0-2 anni, 3-7 anni , 8 anni ed oltre) e si è trovato che almeno nel campione considerato l’RNA virale non era presente in misura minore nei bambini (sintomatici o meno) rispetto agli adulti ospedalizzati: ciò almeno pone un punto di partenza per stabilire che, dal punto di vista della carica di RNA virale, i bambini non dovrebbero essere limitati nella loro capacità di infettare.
E allora perché, fino a questo momento, sono rari i casi in cui i bambini costituiscono il caso indice di un nuovo focolaio epidemico, sia a scuola che in famiglia?
Per il momento, possiamo solo presentare alcune ipotesi che sono state fatte. La prima è che la minor capacità polmonare, soprattutto nei bambini più piccoli, e la minore sintomaticità della malattia limitino la quantità di virus che un bambino infetto può propagare ad altri soggetti.
La seconda possibilità, molto meno confortante, consiste nel fatto che, semplicemente, proprio perché più difficili da identificare a causa della maggiore asintomaticità, la gran parte dei bambini che hanno dato origine a nuovi focolai epidemici sia semplicemente stata persa da un punto di vista del monitoraggio epidemiologico, specialmente se questi focolai dovessero essersi diffusi in prima battuta fra altri bambini (anche essi tendenzialmente asintomatici o poco sintomatici).
Per ora, sappiamo quindi solo che il grosso dei bambini sono asintomatici o paucisintomatici, e che, senza riguardo per la gravità dei sintomi, essi possono essere lungamente positivi alla ricerca di RNA virale; fino a che non ne sapremo di più della trasmissione del virus in età pediatrica, appare pertanto indicato adottare prudenzialmente misure di contenimento dell’infezione anche fra i bambini e quindi nelle scuole, facendo in modo che le mascherine siano utilizzate il più possibile specialmente nei luoghi chiusi e con più persone, senza limitarsi al semplice distanziamento, a conferma di quanto già determinato in alcuni lavori di mesi fa.
Soprattutto, vista l’ampia circolazione asintomatica del virus fra i bambini, è ovvio a questo punto che il semplice controllo dei sintomi (attraverso per esempio la misura della temperatura), ove i bambini dovessero risultare infettivi, non servirà affatto a contenere i focolai scolastici: servirà invece una politica più aggressiva di diagnostica, attraverso l’uso della strategia di pooling e la ripetizione frequente dei test almeno a campione.
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