cattivi scienziati
Governare il caso: così si possono arginare i nuovi focolai
Eventi sfortunati e casuali possono riaccendere i contagi anche dopo mesi in cui il virus è rimasto su livelli bassi. Ecco come evitarlo
Chi legge questa rubrica ricorderà come più volte ho insistito sugli elementi stocastici che determinano l’insorgere di un focolaio di Sars-CoV-2, e quindi di una ripresa epidemica. Un recentissimo lavoro, pubblicato su Nature Medicine, illustra alcuni dei meccanismi alla base della casuale eruzione di focolai, e quindi aiuta a capire come, pur in presenza di eventi che potrebbero favorire la diffusione del virus – come gli assembramenti di piazza che si sono verificati a seguito della fine dei lockdown –, una ripresa epidemica si realizza solo occasionalmente, per cui si può avere l’erronea impressione di una fase di sostanziale “sconfitta” del virus, scambiando una stasi per la sua definitiva ritirata.
Nel dettaglio, il lavoro in questione illustra come nei 51 cluster di propagazione dell’infezione di Hong Kong, nel periodo compreso tra gennaio e aprile, per un totale di 309 casi, il 19 per cento dei soggetti infetti abbia propagato il virus all’80 per cento di tutti gli individui contagiati. Non solo: nel 70 per cento dei casi, un soggetto infetto, seppur intercettato tardivamente rispetto all’infezione, non ha trasmesso il virus ad altri, e per quel che riguarda il 30 per cento dei rimanenti soggetti, essi hanno per i due terzi infettato un solo altro individuo; pochissimi individui hanno infettato 5-6 altri soggetti o più.
Dunque, abbiamo un quadro in cui il sorgere dell’epidemia è guidato da pochi soggetti superinfettivi, e questo va a confermare quanto già noto; ma sappiamo pure che a Hong Kong, in molti casi – il 90 per cento –, il virus non si è propagato o si è propagato a un solo individuo a partire da un soggetto infetto. Oltre a questi dati, emerge pure che le discoteche sarde non sono state un evento eccezionale di propagazione del virus: i cluster di infezione più estesa di Hong Kong non si sono avuti in famiglia, ma in occasione di eventi sociali, con un musicista che è stato all’origine di un cluster di 106 infezioni e di un monaco da cui è partito un altro ampio cluster di infezioni.
Infine, lo stesso studio ci illustra come rintracciare più precocemente soggetti sintomatici non ha diminuito in modo statisticamente significativo la propagazione del virus, con ciò confermando il peso e l’importanza della trasmissione dell’infezione nella fase presintomatica o paucisintomatica. A questo punto, sembra evidente che varie circostanze sfortunate devono concorrere per l’inizio di un focolaio: un superspreader in contatto con molte persone in un evento sociale in ambiente chiuso, il quale così ha modo di contagiare altri propagatori – e non solo di infettare poche persone, le quali nel 70 per cento dei casi non infetterebbero più nessuno (e quindi, su piccoli numeri, spegnerebbero l’epidemia).
Queste circostanze, per loro natura, sono una combinazione di eventi casuali; il che spiega come il virus possa rimanere a bassi livelli – non nulli – anche per mesi, prima di riprendere vigore se una sequenza opportuna di eventi fa realizzare le basse probabilità di propagazione a molte persone. Ogni cosa che diminuisce il verificarsi di queste sequenze sfortunate di eventi, per esempio ogni misura che diminuisca gli assembramenti al chiuso o la trasmissibilità (mascherine), sposta le probabilità di molto a sfavore di una ripresa su larga scala; e questa è la via della convivenza con il virus, che spiega il perché non possiamo abbandonare le misure precauzionali ben note.
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