cattivi scienziati
Il Covid tra troppe favole e false promesse
La frustrazione di chi ha un'attività commerciale verso chi gli ha illusi della tenuta del sistema di monitoraggio, tracciamento e controllo del virus non può più essere affrontata dicendo solo che la seconda ondata era inevitabile
Sono stati 16.079 i nuovi casi di coronavirus ieri in Italia (mercoledì 15.199), con 170.392 tamponi (in aumento il rapporto positivi/tamponi: è arrivato al 9,4 per cento). 136 ieri i morti (127 mercoledì). 66 in più i ricoverati in terapia intensiva, per un totale di 992.
Marco ed Elisa sono due miei giovani amici. Gestiscono un eccellente ristorante non lontano da dove vivo, un ristorante che ho avuto la fortuna e l’onore di aiutare a far partire. Negli anni, hanno ottenuto riconoscimenti di rilievo, e hanno assunto altri giovani, sia in formazione che in forma stabile, espandendo con successo la propria attività e consolidando la propria fama, grazie alla cura che mettono nel loro lavoro e alla soddisfazione che esso procura a chi ama mangiar bene come in Italia si può, e come ci vantiamo nel mondo. Durante la prima ondata di Sars-CoV-2, hanno tirato la cinghia, si sono impegnati, e hanno poi riaperto rispettando normative a volte astruse e variabili, riuscendo a tornare in campo senza mandare nessuno a casa e pian piano reincontrando vecchi e nuovi clienti, anche internazionali, fino ad arrivare a oggi. Adesso, la nuova, nera onda di virus, paura, burocrazia, decreti, chiusure e colpevolizzazioni del ben vivere e del ben servire è di nuovo davanti a loro, e io, loro amico, non so come rassicurarli o aiutarli: loro, piccolo ma importante pezzetto della comunità in cui vivono e di quello che fin troppo a sproposito viene chiamato “sistema paese”. Ciro, un altro mio amico, è il padrone di una bellissima enoteca, dove lavora lui stesso e dove dipendenti e amici fraternizzano spilluzzicando qualche buon bocconcino annaffiato da vini diversi, oppure assistono a piccoli intrattenimenti di musica, teatro, lettura, all’aperto o al chiuso secondo la stagione. Via WhatsApp, ha già provveduto ad avvisare i suoi affezionati clienti di tutte le norme che bisogna osservare nel suo locale, di come bisogna stare attenti e di come si può comunque andare a bere un buon bicchiere; ma adesso, l’esponenziale crescente mette di nuovo a repentaglio anche la sua attività, e con essa tutto quel piccolo mondo di clienti, fornitori, avventori occasionali e impiegati nella sua enoteca.
Davide non lo conosco, ma mi scrive quanto segue: “Ho perso una zia, io e mio figlio ci siamo ammalati a marzo, con calma e attenzione supereremo il Covid, ma io non ho più soldi, fra qualche giorno non potrò fare la spesa. Faccio l’ambulante, ai mercati non viene nessuno, giustamente, ma io che cosa metto in tavola la settimana prossima?”.
Ecco, quando si lanciano accuse contro quelli che vorrebbero proteggere l’economia, io vorrei che si pensasse a che cosa è poi l’economia, che non è solo fatta di grandi banche, finanzieri amorali, speculatori senza scrupoli e multinazionali anodine, ma è sangue e vita che scorre nella comunità. Economia, dal greco condurre la casa, è il modo in cui viviamo, il modo in cui vivono Marco, Elisa, Ciro e Davide e tutti quelli che ci circondano. E’ per questo che chi, come me, fa ricerca e studia i numeri, non può non pensare alle vite degli altri e a come quello che vedo oggi, domani impatterà su di loro, e non solo su chi finirà in ospedale o peggio al camposanto.
Ed è ancora per questo che la rabbia e la frustrazione per chi ha illuso le persone con favole rosa o false promesse di preparazione, monitoraggio, tracciamento e controllo del virus non possono più essere affrontate semplicemente dicendo che la seconda ondata è comunque una catastrofe che era inevitabile, che sarebbe comunque accaduta: come era una balla l’idea che il virus fosse scomparso o che l’Italia fosse pronta, così è una balla adesso e lo sarà in futuro affermare che non ci si poteva preparare, nel modo in cui, anche su queste pagine, mille volte si è ripetuto.