ANSA/MASSIMO PERCOSSI 

cattivi scienziati

Non sarà lo stato a salvarci dal virus, ma le nostre scelte individuali

Enrico Bucci

Ciò che non è stato fatto finora dalle istituzioni non sarà recuperato adesso. Ne usciremo, ma dipende da noi 

Ieri i nuovi contagiati da Covid-19 sono stati 28.244, in aumento rispetto alle 24 ore precedenti, a fronte di 182.287 tamponi processati (quasi 47 mila più di lunedì). I morti sono stati 353, mai così tanti da maggio. I ricoveri in terapia intensiva sono stati 203, contro gli 83 di lunedì. 

  

Siamo di nuovo in balia degli eventi e delle chiacchiere discordanti. E’ come giocare a mosca cieca, ma sull’orlo di un burrone. Vorrei togliere per un momento almeno la benda dagli occhi; se qualcuno cerca ottimismo a buon mercato, guardi pure altrove. Credo che riconoscere la verità dei fatti aiuti a non soccombere al frastuono, e anche a ritrovare un po’ di pace mentale e concordia su alcuni punti fondamentali, che elenco qui di seguito.

 

Punto primo: non c’è modo di riparare oggi a quanto non è stato fatto in estate. Siamo un paese il cui funzionamento è impossibilitato da una ragnatela di regole, dalla polverizzazione della responsabilità, dal familismo amorale e dall’anarchia individualista dei suoi abitanti. Dunque non è possibile sperare in nessun ravvedimento improvviso, né in qualche salvifica azione delle istituzioni o dello stato. Solo sforzi individuali e senso di comunità fra i cittadini (tutti) possono mitigare i danni. L’unità nazionale invocata oggi da Mario Monti per la politica può servire a dare un’immagine di un parlamento migliore e poco più; serve ancora di più la concordia tra i cittadini e la convinzione nell’affrontare i danni che subiremo.

 

Punto secondo: come in tutte le epidemie di cui si ha memoria storica, il patogeno crea divisione nella comunità, che comincia a identificare “categorie più a rischio”, che è un altro modo di dire più colpevoli. Questa divisione, che si traduce in eterogeneità di comportamenti e in avversione a regole anche ovvie, avvantaggia la diffusione del virus perché fa perdere tempo prezioso e paralizza l’azione di una collettività così grande da non riuscire a risolversi ad agire nel modo giusto con sufficiente velocità. La tempesta citochinica nei nostri corpi è un esempio di cosa crea la confusione di messaggi, che porta a una risposta immune scoordinata e dannosa; la tempesta comunicativa e politica del paese agisce esattamente nello stesso modo, paralizzando le nostre difese e addirittura rivolgendole contro noi stessi.

 

Punto terzo: date le condizioni illustrate ai punti precedenti, la difesa migliore dal virus può avvenire quasi solo su base volontaria e individuale. Dobbiamo evitare di contagiarci finché non avremo un mezzo di contrasto più efficace dalla ricerca scientifica. Questo non significa affatto smettere di vivere: significa indossare sempre correttamente le mascherine, restringere il numero dei contatti e soprattutto la loro eterogeneità (cioè, a parità di contatti giornalieri, il numero di persone diverse che incontriamo in una settimana), spostare le proprie attività ricreative il più possibile all’aperto e a distanza da altri e usare ogni mezzo per sostituire la socialità in presenza con quella da remoto, per quanto la seconda non sia che un pallido surrogato della prima. In “socialità” comprendo anche quella lavorativa: ognuno faccia quanto è nelle sue possibilità per spostare il lavoro in remoto, almeno temporaneamente.

 

Punto quarto: per mantenere la forza di andare avanti, abbiamo una sola via, cioè la solidarietà. Tutti coloro che dipendono per il proprio reddito dalla presenza di clienti, e non da uno stipendio statale, pagheranno un prezzo altissimo. I bambini che perderanno pezzi di scuola saranno ugualmente danneggiati in modo pesante. I medici e gli infermieri stanno ammalandosi e stanno morendo. Ognuno cerchi, per quel che può, di aiutare nel modo migliore che riesce a pensare. Fa bene a chi è aiutato, ma anche a chi dà aiuto e permette di recuperare quel senso di comunità che è indispensabile per sbarrare la strada al virus nel modo migliore possibile.

 

Punto quinto: è necessario più che mai resistere alla depressione, all’incertezza, alla paura. Stare in casa, vedere il proprio lavoro crollare, vedere le persone ammalarsi o morire sono tutte cose che hanno un pesante impatto, anche su chi crede di essere immune. Questo stato d’animo negativo è alla base sia della disperazione sia del suo opposto, il negazionismo e l’ottimismo a ogni costo. Abbiamo bisogno di guardare al male per quello che è, senza nasconderci dietro a storie immaginifiche o a cospirazioni e rimanendo saldi nel nostro comportamento. Pagheremo un prezzo e ne usciremo, con o senza le istituzioni, la politica, la scienza: sta a noi fare che questo prezzo non sia più alto del necessario, restando calmi e razionali.

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