Che cosa sappiamo oggi del virus che non sapevamo ieri? E sulla base delle nuove conoscenze che abbiamo, cosa dovremmo fare per gestire la pandemia in un modo improntato sempre più sull’ordinarietà e sempre meno sull’emergenzialità? Due ricerche importanti di Science e di Nature
"Se solo…”. Se solo che cosa, professore? “Se solo capissimo che molti dei problemi che abbiamo di fronte a noi, oggi, hanno a che fare più con un tema di organizzazione che serve che con un tema di soldi che mancano, beh, se solo capissimo questo avremmo fatto molti passi in avanti nella capacità di convivere con questo maledetto virus”. Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, è divenuto un volto familiare di questa pandemia e da mesi con pacatezza tenta di trovare un punto di sintesi non sempre facile tra due dottrine ormai prevalenti nel mondo dell’informazione scientifica: la dottrina di chi suggerisce di non drammatizzare e la dottrina di chi suggerisce di non drammatizzare abbastanza. Remuzzi cerca con intelligenza di ragionare sui numeri e prova a tenere ben distinte quelle che devono essere le prerogative della scienza e quelle che devono essere le prerogative della politica e nei momenti in cui nel dibattito pandemico sembra prevalere la confusione ascoltare le sue parole può essere utile per orientarsi. Anche per provare a rispondere a una domanda chiave. Che cosa sappiamo oggi del virus che non sapevamo ieri? E sulla base delle nuove conoscenze che abbiamo, cosa dovremmo fare per gestire la pandemia in un modo improntato sempre più sull’ordinarietà e sempre meno sull’emergenzialità? Remuzzi dice che l’osservazione quotidiana di questo virus ci dice in modo piuttosto chiaro che “il vero problema del Covid-19 è la gestione della malattia dal punto di vista sanitario e che per quanto i numeri dei contagi siano molto alti a oggi l’ottanta per cento delle persone che contrae il virus si ammala in modo lieve o per nulla, il dieci per cento si ammala in modo non grave, il dieci per cento si ammala in modo serio e di questo dieci per cento il cinque per cento può andare in rianimazione”.
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