Il Foglio salute
Due volte prigioniere: il dramma delle donne vittime di abusi durante il lockdown
E’ cresciuta pericolosamente la curva delle richieste d’aiuto, e sono aumentati i reati
Chiuse in casa per sfuggire al Covid-19, si sono ritrovate prigioniere, tra le mura domestiche, dei loro aguzzini. Le donne vittime di abusi, durante il lockdown, hanno vissuto un doppio isolamento, sociale ed interiore, e sono i numeri, pubblicati in questi mesi, a dare un’idea di un’emergenza annunciata: femminicidi in aumento, a fronte di una riduzione dei reati gravi, omicidi compresi, una crescita del 119,6 per cento delle chiamate al numero antiviolenza 1522 tra marzo e giugno 2020 e un incremento del 74,5 per cento, solo nel primo mese di lockdown, delle richieste di aiuto ai centri antiviolenza. Numeri che si diluiranno nelle statistiche che, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne che si celebra il 25 novembre, torneranno a denunciare gli abusi di genere fuori e dentro casa. Si è parlato tanto di come il confinamento sociale abbia ridotto reati quali furti e omicidi, diminuiti, questi ultimi, nel primo quadrimestre del 2020, di più di un terzo rispetto allo stesso periodo del 2019. Ma a leggere bene il dato, le donne non si sono salvate.
Dal dossier Viminale, pubblicato ad agosto, si evidenzia che mentre la percentuale di omicidi totali sul territorio nazionale è diminuita del 16,8 per cento in un anno, i delitti in ambito familiare sono scesi solo del due per cento. Dei 58 omicidi in ambito affettivo commessi durante il lockdown, 44, pari al 75,9 per cento, sono stati ai danni di mogli, madri, compagne, quando normalmente questi sono circa un terzo dei delitti totali. Una strage accompagnata dai dati che sono arrivati dal numero verde 1522. Un’analisi delle informazioni raccolte tra marzo e giugno 2020, pubblicata a metà agosto, ha consentito all’Istat di osservare che le chiamate all’1522 sono più che raddoppiate rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, passando da 6.956 a 15.280, e le richieste di aiuto via chat sono quintuplicate, andando da 417 a 2.666. Così, mentre seguivamo ogni giorno l’incremento del numero dei contagi, un’altra curva saliva pericolosamente, senza che molti la notassero: quella delle richieste di aiuto delle donne vittime di violenza. A partire dal 22 marzo, probabilmente anche per effetto della campagna informativa lanciata su tv, web e social network, che ha dato alle donne il coraggio di reagire, la crescita delle chiamate al numero antiviolenza ha avuto un andamento esponenziale, per poi decrescere in coincidenza della fase 2. L’incidenza delle chiamate è cresciuta su tutto il territorio nazionale, dove i tassi su 100 mila abitanti sono raddoppiati rispetto al 2019, nel trimestre di riferimento. La regione dalla quale sono partite più richieste di aiuto è stata il Lazio, dove il dato è già di per sé più alto rispetto alla media nazionale. Durante il lockdown, però, i numeri sono raddoppiati, con il tasso di telefonate all’1522 che è passato da 12 a 25,7 su 100.000 abitanti. A crescere, durante il lockdown, è stata soprattutto la violenza fisica, un fenomeno che ha mantenuto le sue caratteristiche di trasversalità, andando a colpire donne di diversa età, estrazione sociale e situazione economica. Accanto alla richiesta di aiuto da parte delle vittime di violenza, sono cresciute le richieste di informazioni sulla tipologia di servizi offerti dal numero verde, che durante il periodo di confinamento ha anche fornito consulenza dando numeri utili di supporto sociale e psicologico. Un incremento significativo delle richieste di supporto da parte di donne costrette a convivere in casa con il loro aguzzino è stato registrato anche da Donne in Rete contro la violenza (D.i.Re). Dal 2 marzo al 5 aprile 2020, secondo l’organizzazione, i centri antiviolenza sono stati contattati, complessivamente, da 2.867 donne, di cui solo il 3,5 per cento è transitato dal numero 1522. L’incremento delle richieste di supporto, rispetto alla media mensile registrata dall’ultimo rilevamento statistico del 2018, è stato del 74,5 per cento. Purtroppo, l’aumento delle chiamate e delle richieste di aiuto non è andato di pari passo con le denunce, che durante il confinamento forzato, rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente, si sono ridotte al 12,9 per cento dal 16,6. Ma dal racconto che le vittime hanno fatto alle operatrici, emerge che la maggior parte di queste non denuncia la violenza proprio perché consumata all’interno di contesti familiari. Una paura aggravata dall’isolamento domiciliare vissuto nel periodo del lockdown.