Lunedì il premier britannico Boris Johnson aveva detto di voler riaprire le scuole a gennaio, “se possibile”, dopo la pausa natalizia. La sua volontà, però, si è presto scontrata con un’affermazione del Nervtag, uno dei comitati scientifici che consigliano il governo britannico, secondo la quale l’alta contagiosità della nuova variante del virus potrebbe essere causata da una maggiore diffusione tra i bambini. Sono affermazioni ancora da verificare, ma si sono aggiunte alla disputa, già molto accesa, su scuole aperte o scuole chiuse. Se durante la prima ondata tutti i paesi europei avevano deciso di tenere gli istituti chiusi e ognuno aveva poi tentato di riaprirli con i suoi tempi – la prima era stata la Danimarca che propose un modello innovativo con aule dimezzate, lezioni all’aperto e orari di entrata e di uscita scaglionati – durante la seconda l’approccio si è differenziato. Emmanuel Macron e Angela Merkel, con l’aumento dei casi tra settembre e ottobre, avevano stabilito che si potesse sacrificare tutto tranne la scuola. E questo è stato l’approccio generale, che la maggior parte degli europei ha deciso di tenere, con periodi di didattica a distanza laddove ci fossero focolai e con protocolli sanitari appositi.
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