Il “sentimento antilombardo” risorge dalle ceneri dove lo avevamo fortunatamente dimenticato all’inizio della scorsa estate. Il presidente della regione Attilio Fontana ha scritto venerdì su Twitter che “a Roma devono smetterla di calunniare la Lombardia” e che da Milano hanno “sempre fornito informazioni corrette”. Ma in realtà di “sentimento antilombardo” dovrebbe accusare i suoi stessi tecnici, che hanno sbagliato a trasmettere i dati sui contagi al ministero, determinando un errore nel colore della regione, che da zona arancione è passata in rosso per una settimana. Ma facciamo un piccolo passo indietro: il 17 gennaio la Lombardia è stata posta in zona rossa, basandosi sui dati forniti dalla regione quattro giorni prima. La decisione era frutto del solito monitoraggio settimanale dell’Istituto superiore di sanità, che il 15 gennaio aveva assegnato alla Lombardia una stima dell’Rt (che sintetizza la probabilità di contagio) a 1,4. Un valore molto alto: significa che un gruppo di 100 persone malate può contagiarne 140, che successivamente ne contageranno altre 196, e così via con l’andamento esponenziale della curva che abbiamo imparato a conoscere. Da allora il governo della Lombardia ha sempre criticato la scelta, prima con le parole del governatore che aveva definito la zona rossa “una punizione che non ci meritiamo”, aggiungendo che “c’è qualcosa che non funziona nei conti che vengono fatti” per determinare il colore delle regioni. Poi con il ricorso al Tar contro la decisione del governo, che però non ha avuto successo. E infine con i nuovi attacchi di venerdì scorso.
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