Nuovo dpcm, governo e regioni ancora distanti sulla riapertura delle scuole
Nell'incontro con i ministri Speranza e Gelmini, i governatori hanno chiesto di far valutare al Comitato tecnico scientifico l'impatto della didattica in presenza. E di rivedere la classificazione delle fasce di rischio. Domani la bozza del nuovo decreto
Apertura delle scuole e possibile revisione dei parametri per la classificazone di rischio delle Regioni. Questi i due temi sui quali si sono registrati i maggiori attriti nel corso del vertice tra Goveno e Regioni in vista del nuovo Dpcm che entrerà in vigore a partire dal prossimo 6 marzo. Per il Governo, presenti al vertice i ministri di Salute e Affari regionali, rispettivamente, Roberto Speranza e Mariastella Gelmini. Come dicevamo, la scuola è stato il primo banco di 'scontro' con diverse Regioni, tra le quali Veneto, Puglia, Friuli Venezia Giulia e Campania che hanno chiesto di far valutare al Comitato tecnico scientifico l'impatto della didattica in presenza nell'attuale situazione epidemiologica con la circolazione di varianti in costante aumento.
In prima linea contro l'ipotesi di una possibile apertura il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano: "Se vogliamo la scuola aperta in presenza, dobbiamo vaccinarla". Per il governatore pugliese la riprese delle attività scolastiche deve dunque tassativamente passare dalla vaccinazione del personale scolastico. "Non esiste la possibilità delle regioni di legiferare o fare atti amministrativi in materia pandemica, perché è una competenza esclusiva dello Stato. Ciò posto - ha spiegato Emiliano - esiste ancora l'articolo 32 della legge sulla riforma sanitaria, che dà alle regioni il potere di emettere provvedimenti più restrittivi di quelli dei Dpcm. Se i presidenti delle regioni avendo già in magazzino i vaccini per il personale scolastico e gli insegnanti, continuano a mandarli in presenza prima delle somministrazioni, si espongono a rischi. Qualunque pubblico ministero potrebbe accusarli di star concorrendo in un reato di inosservanza delle misure di sicurezza sul lavoro, agevolando la commissione di un reato grave".
La priorità per il governatore pugliese è quindi quella di vaccinare il personale scolastico, cosa che "se ci impegniamo potremmo fare nel giro di 20 giorni al massimo, evitando così le eventuali accuse delle procure sull'inosservanza delle misure di sicurezza sul lavoro, avendo fatto tutto ciò che è possibile per evitarlo. Il bene tutelato è la salute del personale della scuola, che non è carne da cannone, e la prevenzione da una variante inglese, che peraltro ha una incubazione così breve che renderebbe più difficile anche il tracciamento. Quindi il motivo per legare il termine della campagna vaccinale delle scuole alla possibilità di riprendere la didattica in presenza - ha sottolineato - lo abbiamo. È giuridicamente granitico".
Per Emiliano potrebbe bastare quindi una sola dose di vaccino al personale scolastico per riaprire le scuole, senza attendere la somministrazione della seconda dose che, in caso di ricorso ad AstraZeneca, si avrebbe a circa tre mesi di distanza. Ad ogni modo, vaccinare con una singola dose gli insegnanti non escluderebbe il rischio di contagi tra alunni e di possibili cluster nelle scuole, ancor di più alla luce della certificata contagiosità maggiore del 37 per cento della variante inglese. Per Gelmini, però, chiedere la riapertura delle attività economiche e la chiusura delle scuole sarebbe una "contraddizione". Resta il fatto che le Regioni continuano ad avere facoltà di adottare misure più restrittive sulla base del decreto legge 33/2020. Ed è stato soprattutto questo provvedimento a causare negli ultimi mesi quel 'cortocircuito' normativo che ha permesso a diversi territori di chiudere anche le scuole primarie e quelle d'infanzia, nonostante la volontà del Governo di tenerle aperte.
Altro 'nodo' da sciogliere resta poi quello sulla revisione dei criteri di rischio sulla base dei quali vengono classificate per 'colori' le Regioni. A parere del presidente del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, "per stabilire aperture e chiusure serve un'evidenza scientifica che consenta di ponderare l'impatto della scelta e prendere decisioni consapevoli, senza penalizzare attività che non comportano un ampio rischio di contagio". Giudicata in ogni caso da Fedriga "positiva la volontà del Governo di rivedere i criteri di valutazione per l'assegnazione delle fasce". Sulla stessa lunghezza d'onda il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti che auspica una "revisione dei parametri passando, ad esempio, dall'Rt sintomi all’Rt ospedalizzazioni, che tiene conto dei letti occupati negli ospedali, allargando la cabina di regia ai Ministeri che valutano il danno economico e sociale delle misure prese”. Intanto è attesa per domani la prima bozza del nuovo Dpcm che il Governo consegnerà alle Regioni.