editoriali
Il rigore a metà del primo dpcm
Misure più rigide (giusto), ma anche aperture (perchè?). Ascoltare Merkel
Il primo dpcm dell’éra Draghi è stato firmato questo pomeriggio a Palazzo Chigi. Contiene un elemento di continuità nella forma (il caro vecchio decreto ministeriale). Contiene un elemento di discontinuità nella sostanza (le misure sono ancora più rigide rispetto agli ultimi dpcm del governo Conte: nelle zone rosse tutte le scuole verrano chiuse e anche in quelle non rosse le scuole potrebbero chiudere). Contiene un elemento di ritorno al buon senso (in tutte le zone è stato eliminato l’incomprensibile divieto di asporto dopo le ore 18). Contiene un elemento forse di incauto di ottimismo (dal 27 marzo, salvo aggravarsi della crisi epidemiologica, nelle zone gialle è prevista l’apertura anche il sabato e nei giorni festivi). Ma contiene anche una contraddizione di fondo che sembra essere il primo vero problema della stagione del governo Draghi: l’incongruenza tra ciò che succede (l’arrivo preoccupante della variante inglese, che ha una velocità di contagio superiore del 39 per cento rispetto a quella originaria e che è alla base del numero alto di regioni che si trovano oltre la soglia critica delle terapie intensive occupate) e ciò che si fa (l’annuncio delle riaperture).
Il ministro Roberto Speranza, durante la conferenza stampa di presentazione del dpcm, ieri ha ammesso che la fase epidemiologica in cui si trova all’Italia “non può essere sottovalutata” e che il governo “valuterà giorno per giorno l’andamento”. Ma l’impressione che si ricava è che il governo sia consapevole della gravità della situazione e che tuttavia sia titubante nel fare quello che stanno facendo la maggior parte dei paesi europei: preoccuparsi non tanto di come riaprire il prima possibile ma come chiudere ciò che si può. La Germania, ha scritto ieri la Bild, nonostante un numero di contagi inferiore ai 4.000 al giorno, sta pensando di estendere fino al 28 marzo il lockdown. Merkel ha scelto di usare, in vista della terza ondata, il principio di precauzione. Non è chiaro perché lo stesso principio non dovrebbe adottarlo anche l’Italia. Fare presto, grazie.
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