Mancano i vaccini o la capacità di gestirli? La sfida di Curcio e Figliuolo
Tutti i numeri della campagna di immunizzazione: perché ci sono i margini per avere fiducia e - soprattutto - urgenza di implementare un piano di distribuzione efficiente
La campagna vaccinale va a rilento perché non abbiamo abbastanza dosi. Dobbiamo battere i pugni in Europa contro le aziende farmaceutiche. E’ necessario acquistare il vaccino russo Sputnik senza attendere l’Ema. Questi alcuni dei refrain ripetuti ossessivamente nelle ultime settimane da governo, opposizione e regioni. Un fronte compatto che indica un unico problema di una campagna vaccinale che stenta a decollare: le inaffidabili aziende farmaceutiche. La questione è, come al solito, più complessa. Ma in ogni caso la discussione sulla carenza di dosi, che pure c’è stata nei primi due mesi dell’anno, è una polemica di chi guarda nello specchietto retrovisore. Eppure la pandemia avrebbe dovuto insegnarci a guardare avanti, a prevedere. Sui vaccini non avviene.
La mancanza di dosi non è più il problema principale già da qualche giorno e lo sarà sempre meno nei prossimi. Secondo i dati del ministero della Salute, a marzo sono attesi 10,2 milioni di dosi. In un solo mese, questo mese, avremo circa il doppio delle dosi avute da fine dicembre a oggi. Ma non basta. Il 1° marzo AstraZeneca ha confermato non solo i 5 milioni di dosi attesi in Italia entro la fine del primo trimestre (niente tagli), ma anche la consegna di 20 milioni entro ad aprile-giugno (il doppio rispetto ai 10 milioni previsti). Questo significa che nel prossimo trimestre in Italia si attende l’arrivo di oltre 55 milioni di dosi (considerando la probabile approvazione di Johnson & Johnson, 7,3 milioni di dosi singole ovvero senza necessità di richiamo), con una media di oltre 18 milioni di consegne al mese, oltre il triplo di quelle gestite – solo in parte – tra fine dicembre e fine febbraio. Tenendo l’attuale ritmo di circa 120 mila vaccinazioni al giorno, ci vorrebbe più di un anno solo per smaltire le dosi del secondo trimestre. E l’obiettivo del governo, di arrivare a 200 mila inoculazioni quotidiane entro fine marzo, è notevolmente basso. Per smaltire i 10 milioni di dosi (a cui si aggiungono 2 milioni ora disponibili), bisogna arrivare almeno a 300 mila somministrazioni al giorno: il 250 per cento in più rispetto al livello attuale.
Ma siamo in grado di farlo?
Per farsi un’idea dell’attuale situazione basta esaminare alcuni numeri sull’utilizzo dei vari tipi di vaccino consegnati nelle diverse regioni. A oggi, sui 6,3 milioni di dosi consegnate dei tre vaccini autorizzati – Pfizer, Moderna e AstraZeneca – risultano 4,3 milioni di vaccinazioni effettuate, con 2 milioni di dosi inutilizzate (quasi una su tre). Le percentuali di inutilizzo, non variano solo da regione a regione, ma anche da vaccino a vaccino. Prendiamo i due a mRna approvati per i più anziani. Il più utilizzato è quello di Pfizer, con una percentuale media a livello nazionale dell’85% circa. Anche in questo caso, però, con performance ben diverse sul territorio: dal 73% della Calabria al 102% della Valle d’Aosta (considerando le iniziali “seste dosi” extra). Di contro, solo una dose su due di Moderna è stata utilizzata (54%) con differenze ancora più marcate: dall’1% del Molise al 102% della Valle d’Aosta. Come si spiegano numeri di utilizzo così diversi tra i due vaccini?
Differenze tra Pfizer e Moderna
La ragione è piuttosto semplice, ma anche preoccupante. Essendo stato il primo a ricevere l’approvazione, il vaccino di Pfizer è stato utilizzato per gli operatori sanitari. Sappiamo che questa è l’unica parte della fase 1 del piano vaccinale a potersi considerare quasi del tutto conclusa. Da qui l’alto utilizzo di questo vaccino. Bisogna però considerare che questa era anche la parte più semplice del piano, sia perché quella degli operatori sanitari è la categoria più facilmente intercettabile sia perché in questo caso i punti di distribuzione andavano a coincidere con quelli di somministrazione.
Numeri ben diversi per Moderna, che si è iniziato a somministrare agli over 80, seguendo le priorità del piano strategico. A livello nazionale si è riusciti a utilizzare solo la metà delle dosi arrivate (54%) con enormi differenze tra territori. E questo perché la campagna vaccinale viaggia a velocità molto diverse tra le diverse regioni, alcune delle quali con grandi difficoltà e numeri molto bassi nella vaccinazione degli anziani. Pur essendo le dosi di Moderna meno numerose (circa 250 mila), la performance nella somministrazione può essere un indicatore di problemi seri in arrivo. Dato che sono ormai quasi completati i richiami della fase 1, quella riservata al personale sanitario, presto anche Pfizer dovrà essere usato totalmente per la popolazione anziana. Se lo scarso utilizzo di Moderna è il frutto di un problema organizzativo questo si ripercuoterà, ovviamente, anche sul vaccino Pfizer.
AstraZeneca inutilizzato
Persino peggiore è la performance per il vaccino AstraZeneca. Quest’ultimo, dopo la revisione di Aifa e del Ministero della Salute dello scorso 23 febbraio, può essere offerto fino ai 65 anni. Il via libera con questo limite di età, che prima era ulteriormente più basso (55 anni), ha scompaginato l’organizzazione della campagna costringendo a un’anticipazione della fase di vaccinazione di massa. Ma il paese e le regioni si sono fatte trovare impreparati e la vaccinazione è stata tutto fuorché “di massa”. A livello nazionale, si è riusciti a utilizzare solo il 20% circa delle dosi consegnate (una su cinque). In ben 19 regioni si viaggia su percentuali molto inferiori al 50% (l’unica eccezione è la Toscana), con tre regioni che fanno registrare tassi prossimi allo zero. Le cause sono diverse, dalla carenza di personale a quella di una ritardata pianificazione di spazi adeguati sul territorio. Il risultato però è sempre lo stesso: non riusciamo a somministrare abbastanza in fretta le dosi che ci vengono consegnate. Ed è davvero paradossale, dato che il governo e la Commissione europea stanno combattendo una battaglia con AstraZeneca per aver rivisto al ribasso le forniture.
Alla luce di questi numeri, sarebbe il caso di mettere da parte proposte surreali per organizzare un serio ed efficiente piano vaccinale. Con la nomina di Francesco Curcio a capo della Protezione Civile e di un esperto di logistica come il generale Francesco Paolo Figliuolo a Comissario straordinario al posto di Domenico Arcuri, il presidente Mario Draghi ha individuato il problema. Bisognerà vedere se riuscirà a risolverlo in tempi strettissimi.