Il Foglio salute
I danni del Covid-19 sull'industria del vino (che sì, fa bene alla salute)
Il settore ha retto la crisi, ma il futuro è pieno di insidie. Parla Andrea Sartori
L’industria del vino ha retto il botto della pandemia e a raccontarlo sono i dati di una recente ricerca IRI presentata nell’ambito di Wine2Wine Exibition. Ma il futuro è pieno di insidie, soprattutto nel contesto di un ritorno forte del virus e di altre ondate. Ne abbiamo discusso con Andrea Sartori, uno dei fondatori del Consorzio Italia del Vino.
Settore vino e tempi di pandemia: tutto porta a pensare che arriveremo a una fase 3 o comunque a una recrudescenza: come si sono trasformate le abitudini degli italiani negli ultimi mesi? E quali le aspettative per le prossime settimane?
Innanzitutto qualche dato: il 60 per cento del commercio interno viene gestito dalla grande distribuzione, il 30 per cento va al settore HORECA e il restante viene spartito dal dettaglio e dall’ecommerce, con quest’ultimo che davvero molto difficilmente va a superare il 5 per cento di quota di mercato. Capite dunque bene che finché la ristorazione rimane chiusa, il danno è davvero grosso, insieme all’ulteriore colpo che provoca la mancanza di turismo. Le abitudini dei consumatori italiani sono certamente cresciute e cambiate; oggi l’ecommerce fa la sua parte anche grazie a professionisti e cantine che ci hanno messo molto impegno ma, mi creda, per ora non si è in grado di fare la differenza.
Buono per il cuore, le ossa, la pelle e per l’umore. Il vino è davvero un alimento magico?
Le racconto un aneddoto: il vino rosso inizia a farsi un’eccellente nomea grazie a questo studio americano che vide che in Francia c’era un numero molto minore di infarti o comunque di patologie cardiache rispetto al dato degli Stati Uniti. Ci si chiese perché, visto che fra l’altro i francesi sono noti per mangiare alimenti molto grassi come i formaggi. Saltò fuori che la minore incidenza di patologie dipendeva dall’alto consumo di vino rosso che contiene il reservatrolo, un elemento naturale che fa molto bene alla circolazione e alla prevenzione di patologie cardiache e del colesterolo. Io non voglio poi trascurare l’effetto socializzante del vino, cioè il fatto che un bicchiere di vino bevuto in compagnia e abbinato a un buon piatto, non può far altro che aiutare lo spirito e l’allegria delle persone. Non esistono alimenti che siano immuni ovviamente da rischi ma lì diventa molto una questione di dosi: credo infatti che qualsiasi cibo, se consumato in eccesso, diventi dannoso per la salute.
L’agrifood è uno dei pilastri su cui sta venendo impostato il PNRR, il cosiddetto Recovery Plan: fra contratti di filiera e tutela delle denominazioni, quali sono le richieste specifiche del settore al governo?
Dobbiamo dedicare particolari risorse ai concetti di sostenibilità, soprattutto sostenibilità ambientale non solo dal punto di vista agricolo ma anche industriale, e parlo qui degli investimenti nelle cantine per ammodernare il processo sia di vinificazione che di altre lavorazioni. Non manca il tema della sostenibilità economica, laddove è necessario porre attenzione ad alcune operazioni davvero spregiudicate che si vedono sulla filiera. Per la prossima generazione di produttori è necessario preparare le strade e questo significa che dobbiamo sempre più spingere sulla parte commerciale e sull’aumento delle nostre quote di mercato estero. Auspico che su questo vengano stanziate importanti risorse, anche perché ci sarà sicuramente una grandissima competizione per le problematiche legate al Covid. Dobbiamo cercare di presidiare sempre di più la nostra quota di esportazione.
A proposito di questo: quali sono le varietà e quali sono i mercati esteri più interessanti per il prodotto italiano?
I quattro-cinque paesi che fanno la stragrande maggioranza di fatturato per l’Italia sono i cosiddetti mercati classici, quindi gli Stati Uniti, la Germania, l’Inghilterra, il Canada e la Svizzera. Fra i più richiesti si confermano i prodotti toscani fra cui il Chianti, il Brunello, poi abbiamo il Barolo dal Piemonte o il Moscato d’Asti; il Lambrusco fa sempre la sua parte e poi c’è il Veneto che onestamente fa dei volumi impressionanti con Prosecco, Pinot Grigio, Valpolicella, Amarone e Soave.
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