Il Foglio salute
Salviamo i Pronto Soccorso
La pandemia di Covid-19 si è abbattuta su un sistema già in sofferenza. È ora di intervenire
Il sovraffollamento in Pronto Soccorso, col quale si intende lo squilibrio tra richiesta di cure urgenti e capacità di erogarle è stato oggetto di attenzione mediatica durante la pandemia Covid e può essere utile chiarire ai non addetti ai lavori di che cosa si tratti e quali ne siano le implicazioni.
Un’immagine efficace per descriverlo è quella di un imbuto in cui si riversano tutti i pazienti, sicuri di trovare sempre una risposta adeguata ai bisogni di salute fisica e psichica, e il cui deflusso è limitato dalla dimensione del collo, generalmente molto stretto rispetto alla base.
Da una parte dell’imbuto sta la città, e dall’altra (quella stretta) l’ospedale con i posti letto.
Il sovraffollamento non è evidentemente un problema del ps ma dell’ospedale e dell’intero Sistema Sanitario: il ps è sovraffollato se l’ospedale è sovraffollato e gli studi scientifici documentano che questa situazione dipende da tre categorie di fattori: i fattori in ingresso (input factors), i fattori all’interno (throughput factors) e i fattori in uscita (output factors).
I fattori all’ingresso riguardano il numero di pazienti che si rivolge al ps, l’intensità di cure di cui necessita e i tempi di attesa.
I fattori all’interno sono i tempi del percorso che il paziente svolge in ps: visita medica, accertamenti, esami del sangue, diagnostica per immagini, terapie d’urgenza. Tutto questo richiede tempo e competenza elevata da parte di medici e infermieri, e alla fine di questa fase il paziente dovrebbe essere dimesso o ricoverato.
Qui cominciano a pesare i fattori in uscita che ostacolano il passaggio dei pazienti dal metaforico imbuto di cui prima: si parla di blocco in uscita. Il principale di questi fattori, e del sovraffollamento nel suo insieme, è la mancanza di posti letto in ospedale, conseguente al taglio che ha caratterizzato le politiche sanitarie da decenni. In Italia negli ultimi 10 anni si è passati da 5 a 3,5 posti letto per mille, e di contro è aumentata l’età media e il numero di pazienti fragili.
In tempi normali il problema era già molto sentito e da tempo denunciato dai medici di urgenza: erano le epidemie stagionali di influenza, il grande caldo estivo, eventuali emergenze sanitarie ad acuire il problema del sovraffollamento, ma oggi la pandemia Covid si è abbattuta come un uragano su un sistema già in sofferenza.
I fattori di sovraffollamento in ingresso, alquanto ininfluenti, sono diminuiti durante la Covid per la paura di contagio, e questo ha portato a sottovalutare sintomi gravi e pericolosi per la vita con conseguenti diagnosi misconosciute, ritardate o mai fatte.
I fattori all’interno sono aumentati perché i pazienti che giungevano in ps richiedevano terapie e monitoraggi più lunghi e complessi. A determinare un aumento del lavoro ha concorso anche il necessario sdoppiamento dei flussi dei pazienti (flusso pulito e flusso sporco) che ha comportato il raddoppio del lavoro per il personale di Pronto Soccorso.
Nel flusso pulito devono transitare i pazienti che accedono al ps per tutte le sintomatologie non ricollegabili al coronavirus, nel flusso sporco devono invece transitare tutti i pazienti con sospetto di coronavirus: di questi non tutti si dimostreranno positivi al virus e occorre un percorso ben disegnato per ridurre al minimo la possibilità di contagio. Se gli effetti generali di un simile percorso sono stati ben rappresentati dalla stampa e dai social, non si è invece sufficientemente parlato di come questo abbia causato un drammatico incremento del sovraffollamento. Ai tempi abituali si sono aggiunti quelli peculiari della pandemia: vestizione e svestizione degli operatori sanitari, disinfezione di locali, degli apparecchi di imaging, attese per avere l’esito di un tampone, tempi per comunicare telefonicamente con i familiari dei pazienti e tempi di esecuzione delle complesse terapie e della ventilazione, ripetuti controlli degli scambi respiratori. Tutte attività che richiedono alta professionalità e cure altamente specializzate.
La pandemia ha peggiorato anche i fattori di sovraffollamento in uscita non solo nelle terapie intensive, ma anche nei reparti medici e chirurgici. Il fenomeno del blocco in uscita è esasperato dall’attesa del risultato del tampone per ricoverare nei reparti i pazienti presenti in ps, questo non solo per i pazienti con sospetto coronavirus, ma anche per tutti quelli del flusso pulito della cui negatività si deve essere certi prima di un eventuale ricovero. Il sovraffolamento in uscita è anche determinato dall’attesa tampone pre-dimissione dei pazienti dai reparti dell’ospedale che provoca una occupazione prolungata di posti letto. Pensiamo a tutti i pazienti che, prima di recarsi al domicilio, si devono recare ad un reparto di riabilitazione.
Ne consegue un aumento del lavoro richiesto per soddisfare le richieste di cure urgenti, lavoro svolto con le stesse risorse del periodo ordinario o di poco aumentate, da cui deriva il sovraffollamento.
Il sovraffollamento determina inevitabilmente una riduzione delle qualità delle cure e un aumento degli esiti sfavorevoli, compresa la mortalità; molti sono stati i rimedi pensati sino ad oggi per ovviare al sovraffollamento, ma vi è ampio consenso sul fatto che nessuno di questi potrà essere efficace sino a che i posti letto non saranno in numero sufficiente.
Quando fui assunto al Pronto Soccorso la mia direttrice mi disse: “il Pronto Soccorso è un faro. Noi brilliamo quando tutte le altre luci si spengono. Tu ora fai parte dei guardiani di questo faro e devi fare in modo che tutte le imbarcazioni arrivino in porto, specie le più piccole, le più fragili.” Questo faro e i suoi guardiani non retrocederanno davanti a nessuna minaccia, ma occorre investire nella sua manutenzione e per farlo occorre capire quali sono i problemi e risolverli.
Gabriele Savioli
Referente Ricerca e consigliere direttivo regionale SIMEU Lombardia
e referente nazionale Formazione a distanza SIMEU