Il Foglio salute
Una tecnica efficace e non invasiva per curare patologie e ridurre l'ospedalizzazione
Pregi e vantaggi dell’embolizzazione. Intervista al professor Tommaso Lupattelli
La tecnica dell’embolizzazione è all’avanguardia nel trattamento di diverse patologie, eppure i pazienti italiani non la conoscono ancora bene. Ne parliamo con Tommaso Lupattelli, specialista in radiologia, radiologia interventista e chirurgia vascolare, già professore incaricato all’Università degli Studi di Perugia, e responsabile della tecnica di embolizzazione per il Gruppo Villa Maria.
Di cosa parliamo, quando parliamo di embolizzazione e qual è la sua efficacia?
L’embolizzazione è una tecnica di radiologia interventistica che consente in maniera mini invasiva, rispetto ad altre tecniche di chirurgia tradizionale, di trattare diverse affezioni quali tumori benigni o maligni, ma anche aneurismi, varicocele femminile e maschile e malformazioni artero-venose complesse.
Si tratta di una tecnica impiegata già all’inizio degli anni Ottanta per embolizzare sanguinamenti intestinali in situazioni di urgenza, e consiste nell’occlusione attraverso materiale dedicato, di vasi sanguigni di pertinenza di un organo o di una parte dell’organismo. La finalità è quella di bloccare l’apporto vascolare di una lesione, una malformazione o una neoformazione tumorale generando una necrosi ischemica senza dover ricorrere alla chirurgia. L’utilizzo dell’embolizzazione è in costante crescita perché si tratta di una tecnica molto efficace che al contempo non è invasiva. Non intervenire chirurgicamente significa ridurre i tempi di ospedalizzazione, non dover ricorrere all’anestesia generale ma anche a nessun taglio o incisione, il che è un grande beneficio per il paziente.
Nello specifico, che cos’è la radiologia interventistica?
E’ una branca della radiologia che utilizza tecniche di imaging finalizzate al trattamento, e non alla diagnosi. Uno degli approcci più in espansione riguarda il trattamento del fibroma uterino e dell’adenomiosi.
Cosa può dirci rispetto a questo campo di applicazione?
Per il trattamento di questa patologia, estremamente diffusa, si procede con una puntura all’inguine o al polso per guadagnare un accesso a livello arterioso (si parla a seconda dei due casi di accesso femorale o radiale) nel quale si inserisce un catetere vascolare di dimensioni pari a punta di una matita. Il catetere viene iniettato di materiale embolizzante che va a occludere le ramificazioni dell’arteria uterina facendo sì che le neoformazioni vadano incontro ad ischemia con conseguente riduzione del volume dei fibromi. Per la paziente significa la cessazione dei sintomi correlati alla patologia.
Si tratta di interventi risolutivi?
Naturalmente ogni caso è a sé, ma le statistiche ci dicono che rispetto ad altre tecniche la possibilità di recidive è minore, soprattutto perché l’embolizzazione consente di trattare, in un’unica sessione, tutti i fibromi presenti, impedendo dunque il degenerare di quelli più piccoli che magari in altre situazioni vengono inevitabilmente lasciati in sede.
Abbiamo visto che i tempi di ospedalizzazione vengono ridotti notevolmente. Cosa significa in termini pratici?
Significa che dopo l’intervento di norma bastano una o due notti di ricovero per la gestione dei sintomi post intervento. Generalmente dopo già una settimana la paziente può riprendere normalmente l’attività lavorativa. Nel caso dell’adenoma o ipertrofia prostatica il paziente rimane ricoverato una sola notte e i tempi di ripresa per le normali attività si riducono a meno di una settimana.
E i controlli post intervento?
E’ necessaria un’ecografia a due mesi dall’intervento e una risonanza a un anno. A quel punto si sarà giunti alla completa devascolarizzazione delle neoformazioni, e il percorso può ritenersi concluso.
Rispetto all’emobolizzazione del fibroma uterino, ci sono conseguenze per le donne che desiderano una gravidanza?
Generalmente no, perché il fibroma embolizzato, oltre a essere ridotto di dimensioni, è morbido, non aumenta di volume in gravidanza e consente una vita senza più alcuna sintomatologia.
Perché se si tratta di una tecnica così efficace e poco invasiva, viene ancora poco utilizzata e ha iniziato a diffondersi solo recentemente?
Non è del tutto vero che si stia diffondendo solo da poco tempo, ma c’è da dire che spesso viene ancor poco rimborsata dal SSN e questo ne scoraggia l’impiego a beneficio di altre procedure. E’ però altresì vero che si assiste a una crescente collaborazione tra diversi specialisti proprio per assicurare ai pazienti le cure migliori e innovative, si tratta di un cambiamento che è certamente in corso.
E i pazienti? Conoscono questa tecnica e la richiedono?
Sempre di più, sì. Il passaparola in questi casi è fondamentale, perché quando le persone sentono parlare da famigliari o conoscenti di benefici in ambito medico tendono a volerne sapere di più e quindi si informano direttamente o indirettamente. In questo ambito è fondamentale il coinvolgimento dei medici di medicina generale, che sono il primo punto di contatto del paziente, e che dovrebbero essere opportunamente aggiornati rispetto alle tecniche in uso in modo da poter offrire una panoramica completa delle possibilità. Personalmente, grazie alla visione illuminata e lungimirante del Presidente del Gruppo Villa Maria, Ettore Sansavini e del dottor Bruno Biagi ho potuto lavorare attivamente ed estensivamente su questa tecnica per contribuire a diffonderla anche in Italia. Infatti negli USA l’embolizzazione è molto utilizzata e con risultati eccellenti in vari ambiti, e dobbiamo guardare a questo successo come un esempio da seguire a beneficio dei pazienti. Parliamo di una delle più grandi innovazioni del nuovo millennio in campo medico.
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