Un Foglio internazionale
Israele, primo paese post Covid
Come ha fatto lo stato ebraico a vaccinare così rapidamente la popolazione
Oltre il 55 per cento degli israeliani ultra sedicenni è stato vaccinato contro il Covid-19 a dodici settimane dal giorno in cui la prima dose è stata somministrata in diretta tv a un ammiccante Benjamin Netanyahu”, scrive il giornalista Tunku Varadarajan sul Wall Street Journal: “Questo è il miglior tasso di immunizzazione al mondo ed è circa quattro volte superiore a quello americano. Per farmi spiegare le ragioni di questo grande successo, ho intervistato il coordinatore nazionale della campagna israeliana contro il Covid-19, Nachman Ash. Il sessantenne Ash, che è stato un medico nell’esercito israeliano, spiega che sta combattendo una ‘guerra 24/7’. Come tutti i bravi militari, Ash è fiero delle sue vittorie ma si affretta a dare credito anche agli altri. Attribuisce il successo di Israele ai suoi leader politici, che hanno mostrato lungimiranza stipulando degli accordi in tempi record per ammassare le dosi di vaccino. I funzionari hanno avuto ‘contatti diretti’ con Pfizer, attraverso i quali hanno offerto alla compagnia un affare. Israele avrebbe avuto i vaccini in anticipo, e nelle quantità richieste, e in cambio Pfizer avrebbe avuto accesso ai risultati delle vaccinazioni.
I dati reali corrispondono a quelli dei test clinici. ‘Stiamo osservando circa il 95 per cento di efficacia nella prevenzione della malattia’, dice Ash: ‘Questi dati reali confermano i risultati della ricerca di Pfizer’. I programmi di vaccinazione hanno ridotto i tassi di infezione e dato forza a un paese che ha subìto tre duri lockdown nell’ultimo anno. ‘Credo che in ognuna di queste circostanze il lockdown fosse assolutamente necessario’. Ash è profondamente in disaccordo con la Great Barrington Declaration, in cui un gruppo di epidemiologi ha proposto una ‘protezione mirata’ per le categorie vulnerabili, e la fine dei lockdown. ‘No, no, no. Credo che questo sia un modo molto pericoloso di gestire la pandemia’, dice Ash: ‘Loro credono di fermare il contagio attraverso quella che io chiamerei ‘l’immunità di gregge naturale’, che si ottiene facendo infettare la gente. Ma questo è sbagliato, perché comporta la perdita di molte vite’. La protezione della vita dei propri cittadini è stato un principio cardine del contratto sociale israeliano fin dalla creazione dello stato. La stessa avversione verso la perdita di vite umane che motiva la difesa israeliana contro i missili di Hezbollah si riscontra nel suo approccio cauto e incrementale alla ripresa della normalità dopo la pandemia. Il paese sta scommettendo forte sui vaccini. ‘Una volta che l’80 per cento della popolazione israeliana sarà vaccinata – spiega – saremmo vicini all’immunità di gregge’. Ash mi racconta i metodi – e i numeri – della campagna vaccinale israeliana con una soddisfazione silenziosa. Innanzitutto hanno vaccinato le categorie a rischio, e successivamente hanno proseguito in base alle categorie anagrafiche.
Qualche settimana fa la portavoce di Ash ha annunciato che 3,1 milioni di israeliani hanno avuto entrambe le dosi mentre 5,1 milioni hanno ricevuto solamente la prima. L’86 per cento degli ultra cinquantenni ha ricevuto entrambe le dosi. I vaccini sono stati amministrati attraverso i Kupat Holim, le quattro organizzazioni di previdenza che sono il perno della sanità israeliana.
Ciò che l’America e Israele hanno in comune è la forte presenza dei no vax. In Israele, tre gruppi sono particolarmente suscettibili alle fake news riguardanti il vaccino: gli arabi, gli immigrati dalla Russia e le giovani donne. Su richiesta del governo israeliano, Facebook ha rimosso dei contenuti in lingua ebraica ‘volutamente mendaci’ secondo cui il vaccino è un veleno designato per selezionare la popolazione e impiantare dei chip di tracciamento nei loro corpi. ‘Alcune donne giovani’, aggiunge, ‘temono di perdere la loro fertilità. Tutto questo è infondato’. Ma il governo potrebbe avere svoltato con un altro gruppo – gli ultra ortodossi – che sono stati altrettanto ostili alle indicazioni del governo. ‘Questi gruppi vengono influenzati dai loro rabbini – spiega Ash – e abbiamo avuto un confronto positivo con i rabbini riguardo alle vaccinazioni. Loro stanno incoraggiando le persone a fare il vaccino e questo è un buon segno’. La chiave è persuadere i capi di queste comunità che vaccinarsi è qualcosa di positivo. ‘Non c’è altro modo, che si tratti dei gruppi ultra ortodossi o degli arabi’, anche se con quest’ultimo gruppo la divisione non è su base religiosa: ‘Lavoriamo con i sindaci e i leader locali. Loro riescono a veicolare il messaggio alla loro gente meglio rispetto a me’. Uno dei possibili strumenti per convincere la gente a vaccinarsi è l’introduzione di un certificato di vaccinazione. Gli israeliani possono scaricare un’app che verifica l’avvenuta vaccinazione o la guarigione dal Covid. Questo consente ai possessori dei certificati di entrare nelle palestre, negli hotel, nelle sale concerti e negli altri spazi a cui sarà vietato l’accesso a chi non è immune.
Che ne è dei palestinesi? I critici di Israele dicono che non ha fatto abbastanza per loro. Ash risponde che l’autorità palestinese fa parte del programma Covax avviato dall’Organizzazione mondiale della Sanità per aiutare i paesi a basso e medio reddito, ma indica che ci sono stati dei contatti tra la sua squadra e gli amministratori nei territori palestinesi. Ash aggiunge che israeliani e palestinesi condividono ‘un territorio molto piccolo, e molto interconnesso’. Molti arabi israeliani fanno avanti e indietro con la Cisgiordania, mentre i palestinesi si recano in Israele per lavorare. ‘La pandemia ci unisce, sicuramente, e loro verranno vaccinati. Non solo per il loro bene, ma anche per il nostro’”.
(Traduzione di Gregorio Sorgi)
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