Perché la sanità inglese funziona bene con i vaccini
Centralismo, capillarità e digitalizzazione sono i punti di forza della campagna vaccinale britannica. Che ha anche un altro vantaggio: la selezione avviene solo su base anagrafica
Spesso si dice che i britannici nati nella seconda metà del Novecento credano in tre istituzioni soltanto: la monarchia, la Bbc e l’Nhs, il sistema sanitario nazionale. La campagna di immunizzazione degli ultimi mesi è una storia tipicamente britannica, che è stata resa possibile grazie a un sistema sanitario capillare e radicato in tutto il territorio e di cui i cittadini si fidano ciecamente. Nonostante l’Nhs venga spesso descritto dai suoi detrattori come un mostro burocratico, stavolta si è rivelato sorprendentemente agile ed efficiente.
Chiunque abbia diritto al vaccino riceve un messaggio sul cellulare con la data, l’orario e l’indirizzo dove presentarsi. Una volta arrivati al centro vaccinale, serve solamente presentare un documento d’identità e rispondere ad alcune domande di rito prima di farsi iniettare la dose. Le punture vengono eseguite dagli infermieri, non dai medici, e il controllo all’ingresso è svolto da un esercito di volontari per lo più giovani, molti dei quali sono disoccupati o in cassa integrazione. La pratica richiede meno di dieci minuti e le file sono praticamente inesistenti. Questo ha permesso di somministrare 844 mila dosi in un giorno, sabato 20 marzo, una cifra record in media molto superiore a quella degli Stati Uniti.
“Uno dei nostri punti di forza è la digitalizzazione, che ci consente di fare tutto più in fretta”, ci spiega la dottoressa Orietta Emiliani, medico di base nel quartiere londinese di Earl’s Court. I medici di base – i cosiddetti GPs, che sta per general practice – possiedono i dati anagrafici e sanitari dei loro pazienti, che vengono automaticamente trasmessi ai centri vaccinali. “In questo modo è impossibile barare o saltare la fila”, aggiunge Emiliani.
L’altro grande vantaggio del sistema britannico è che la selezione avviene solamente su base anagrafica – con l’eccezione di medici e operatori sanitari – e non è previsto alcun trattamento preferenziale per le varie categorie professionali. Questa strategia ha consentito di somministrare una prima dose a tutti gli over 80 entro fine gennaio, diminuendo enormemente i decessi giornalieri che ieri hanno raggiunto il livello più basso dallo scorso settembre (17). Anche la scommessa, finora rivelatasi vincente, di ritardare la seconda dose del vaccino a dodici settimane dalla prima ha contribuito a vaccinare il 95 per cento degli over 60 entro metà marzo.
Una delle ragioni più importanti del successo britannico risiede nell’identità stessa dell’Nhs: un sistema fortemente pubblico e centralizzato, con un forte radicamento sul territorio. Inoltre in Gran Bretagna la sanità è una competenza nazionale, quindi sono stati utilizzati gli stessi criteri in tutto il paese e non si è verificata alcuna disparità regionale nel tasso di vaccinazione. Le uniche eccezioni sono le nazioni semi autonome (Galles, Scozia e Irlanda del nord) che hanno piena indipendenza in materia sanitaria. Per questo motivo, la campagna vaccinale scozzese ha subìto vari rallentamenti negli ultimi mesi.
L’altro punto di forza del sistema sanitario britannico sono le sue dimensioni. L’Nhs è la più grande azienda nazionale sia come personale – 1,1 milioni di dipendenti tra cui 112 mila medici e 391 mila infermieri – sia come radicamento sul territorio (6.993 strutture nel 2019). Non è un caso che l’altro leader mondiale per le vaccinazioni, ovvero Israele, abbia un sistema sanitario altrettanto capillare e inclusivo che, come ha spiegato il capo della task force israeliana Nachman Ash in un’intervista al Wall Street Journal, sta alla base del proprio successo. Elencando le differenze con il sistema italiano, Emiliani ci dice che nel Regno Unito c’è grande collaborazione tra i medici di base dello stesso quartiere, che hanno avuto un ruolo chiave nel programma di vaccinazione. “Con cinque colleghi abbiamo allestito un centro vaccinale in una clinica di quartiere, al quale abbiamo inizialmente fornito il materiale sanitario”, spiega Emiliani precisando che in altre zone della città sono state riconvertite scuole o palestre. Perfino il Science Museum è ora un centro vaccinale.