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Il Foglio salute

In ricerca uno non vale uno. Perché serve una riforma del sistema degli IRCCS 

Giovanni Apolone

Variano troppo i fondi concessi agli Istituti. Occorre più inclusività

L’Italia presta poca attenzione alla ricerca, soprattutto in ambito delle scienze della vita e quindi investe molto meno di altri paesi europei. Questo è documentabile attraverso l’analisi di molti indicatori, tra cui la bassissima percentuale del nostro pil dedicata alla ricerca, la bassa proporzione di ricercatori per 100.000 abitanti, la loro alta età media e il basso salario offerto.  Autorevoli recenti interventi hanno acceso un interessante dibattito. Il prof. Silvio Garattini e il prof. Ugo Amaldi da tempo chiedono un cospicuo aumento dei fondi, garantito per alcuni anni e non una tantum. Aumentare i fondi per la ricerca è certamente necessario, ma resta il problema di come allocarli ai team di ricerca. Tito Boeri e Roberto Perotti, riferendosi alla ricerca universitaria, hanno recentemente proposto un cambiamento strategico sulla allocazione dei fondi, passando da un  finanziamento a pioggia alla concentrazione dei fondi pubblici sugli atenei migliori; la Senatrice Elena Cattaneo, sempre riferendosi al mondo delle Università, contesta questa proposta elitaria, esprimendosi contro le “oligarchie della ricerca” e dubitando di azioni che portino alla creazione di nuove entità, preferendo una politica “inclusiva” e “diffusa”, auspica ulteriori interventi che permettano una semplificazione e una riforma dell’attuale sistema, molto frammentato, formato da 135 soggetti, tra Atenei, Enti e Istituti di Ricerca.

 

Le tre proposte sopracitate non sono in contrasto, ma andrebbero integrate in una serie di azioni coordinate che comprendano una riforma del sistema, preceduta però da una valutazione della situazione corrente e dei bisogni. Gli interventi, anche finanziari, dovrebbero infatti essere mirati e diversificati a supportare eccellenze note, promuoverne altre considerate necessarie, a fronte dei risultati della valutazione e in accordo ad un programma multi-annuale. Un esempio pratico ci aiuta a comprendere meglio la natura del problema e possibili soluzioni. Una parte della ricerca si svolge nei laboratori delle Università. Gran parte della ricerca biomedica e sanitaria viene invece condotta negli IRCCS, Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, ospedali pubblici e privati di eccellenza che perseguono finalità di ricerca, prevalentemente clinica e traslazionale, nel campo biomedico e in quello della organizzazione e gestione dei servizi sanitari e che effettuano prestazioni di ricovero e cura di alta specialità. Sono riconosciuti e  finanziati con fondi specifici del ministero della Salute. Ogni anno sono valutati sulla base di 24 indicatori che comprendono dati relativi alla ricerca, alla attività assistenziale e al trasferimento tecnologico. Sulla base di queste valutazioni quantitative, ogni IRCCS riceve un contributo per coprire le spese inerenti la ricerca che è proporzionale alla percentuale di output spiegato da ogni Istituto. In Italia al momento sono 52, sparsi su tutto il territorio nazionale, con una distribuzione non omogenea e apparentemente non legate a una precisa mappa dei bisogni. Il 50 per cento  si trova in sole due regioni, Lombardia e Lazio, solo 19 nel Sud (36 per cento), 30 sono privati (58 per cento), nel nord prevalgono gli IRCCS privati, alcune regioni ne sono prive. L’entità del finanziamento, basato sui criteri attuali, produce una estrema variabilità, in quanto si passa  da contributi di molti milioni di euro, per gli IRCCS più grandi e più attivi, a poche centinaia di migliaia. I primi 10 IRCCS  catturano più del 40 per cento dei fondi allocati. Il finanziamento tiene conto della performance ma non di piani che soddisfino bisogni a livello del singolo Istituto, o in accordo a programmi regionali o nazionali. Di fatto, un metodo che disperde le poche risorse a disposizione.

 
La ricerca in generale  e quella bio-medica in particolare non sono “democratiche”. La meritocrazia è un criterio essenziale per garantire la qualità e quindi, in ricerca “uno non vale uno”. Ben vengano quindi aumenti dei fondi, prevedere incrementi premiali sulla base della performance, aggregare Istituti sulla base dei bisogni per aumentare la massa critica delle risorse a disposizione, senza però perdere di vista quello che la Senatrice Cattaneo chiama “inclusività”, in quanto occorre anche tener presente che in alcune are del paese alcuni Istituti,  anche se meno competitivi, rappresentano strutture fondamentali nell’erogazione dell’assistenza e potenziali hub di network locali di ricerca. Ma nessun politico o finanziatore sarebbe felice di investire in un sistema non calibratoi sui bisogni e non efficiente. Nuovi finanziamenti saranno allora benvenuti se sarà applicata una riforma del sistema degli IRCCS che permetta di raggiungere l’obbiettivo di creare e valorizzare un network che potrebbe rappresentare una sistema dorsale di Istituti di ricerca per implementare una ricerca e una cura di qualità, organizzati in modo di rispondere in modo differenziato ai bisogni differenziati del paese.
 

Giovanni Apolone
Direttore Scientifico Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori
di Milano

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