Cattivi scienziati
Vivere da vaccinato
Appunti per chi dice che la profilassi sarebbe inutile per tornare alla normalità
A volte succede che, pur animati dalle migliori intenzioni, si finisce per dare dei messaggi che sono quanto meno fuorvianti, e al verificarsi di certe condizioni addirittura pericolosi. E’ successo con i commenti che sono stati fatti in merito ai casi di infezione riportati fra i vaccinati: casi che, come abbiamo visto ieri, sono assolutamente naturali, e le cui apparenti disparità di frequenza fra una località e un’altra possono essere spiegate sulla base della semplice pressione epidemica locale.
A partire dal verificarsi documentato di questi casi in Israele e in Inghilterra, peraltro addotti dagli autori soprattutto al fatto che le persone erroneamente immaginano di avere una copertura immediatamente dopo la prima dose di vaccino e assumono un comportamento poco prudente, e costruendo un ragionamento sul fatto che non vi sono ancora misure consolidate della capacità dei vaccini di abbattere la trasmissibilità del virus da parte di chi, pur vaccinato, dovesse infettarsi, si è costruita una teoria secondo la quale, nonostante tutto, per lungo tempo dopo la vaccinazione bisogna continuare a comportarsi esattamente come prima di essa, senza distinzione quindi tra chi è vaccinato e chi no.
Qual è il pericolo insito in tale tipo di messaggio? Molto semplice: se, anche dopo il vaccino chiunque dovesse continuare a vivere come in assenza di vaccino, allora l’incentivo a vaccinarsi diventa sostanzialmente nullo, in presenza di un piccolo rischio di infettarsi se non si è vaccinati (piccolo perché mascherine, lockdown e altre misure di contenimento, se applicate rigorosamente, lo abbassano). Il vaccino – questo è il messaggio che potrebbe passare – sarebbe inutile dal punto di vista del recupero di una vita “normale”.
Per nostra fortuna, non abbiamo nessun bisogno di un tale messaggio e di una tale politica per i vaccinati. Per capirlo, vediamo in termini epidemiologici cosa possiamo aspettarci da un vaccino. Innanzitutto, possiamo aspettarci che protegga dall’infezione un individuo: ci aspettiamo, cioè, che il numero di individui suscettibili all’infezione nella popolazione diminuisca di una certa quantità, pari a una certa frazione dei vaccinati. Ci aspettiamo anche che, se un individuo vaccinato si infetterà, esso trasmetterà più difficilmente il virus a un altro; questo è comunque vero se il secondo individuo è a sua volta vaccinato (per l’effetto di protezione dall’infezione), ma i vaccini possono rendere intrinsecamente meno infettivi i vaccinati, per esempio abbassando la carica virale nei soggetti vaccinati che siano comunque attaccati dal virus, rendendo difficile l’infezione anche verso i soggetti non vaccinati.
L’effetto combinato di protezione dei vaccinati e di abbassamento della loro infettività rende piccola la probabilità condizionata di trasmettere il virus da parte di un vaccinato che si infetti; ed ancora più piccola, per quello che abbiamo visto, questa probabilità diventa se a incontrarsi fra loro sono solo soggetti vaccinati.
Ecco perché è importante valutare i benefici del “rilascio” dei soggetti vaccinati, non appena abbiano sviluppato immunità, senza preoccuparsi troppo del fatto che questi possano contribuire a una ripresa dell’infezione: i due effetti che abbiamo discusso, che abbassano il serbatoio di soggetti suscettibili e abbassano il tasso di attacco del virus, sono sufficienti a tenere l’Rt abbondantemente sotto controllo – anche in presenza della “variante inglese”. I bar e i ristoranti di Israele sono lì a ricordarcelo, ed è possibile che, tra non molto, lo stesso sarà per i pub inglesi.