C'è un vaccino europeo (CureVac), perché la politica chiede Sputnik?
Come si spiega il crescente interesse di larga parte dei politici italiani nei confronti di quello russo?
Come si spiega il crescente interesse di larga parte della politica italiana nei confronti del vaccino russo Sputnik? Dal presidente della regione Lazio, Nicola Zingaretti, fino al leader della Lega Matteo Salvini e a quella di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, prosegue da mesi il pressing su Ema per ottenere un rapido via libera. Il tutto è culminato con l’annuncio del presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, di aver chiuso un accordo per l’acquisto di dosi da utilizzare una volta arrivata l’autorizzazione dall’Ema.
Un interesse apparentemente inspiegabile dal momento che, ad esempio, non si è registrato nulla di simile per il vaccino CureVac. Eppure quest’ultimo ha iniziato la fase di rolling review, quella che precede la richiesta ufficiale di Autorizzazione all’immissione in commercio, quasi un mese prima di Sputnik. E se da una parte è vero che Sputnik è già usato in alcuni paesi, anche europei, sappiamo anche che viene solo in minima parte considerato dell’Europa.
Come già accaduto con AstraZeneca, anche in quel caso, nonostante l’utilizzo nel Regno Unito avviato già a dicembre durante la fase di rolling review, l’autorizzazione al suo utilizzo da parte dell’Ema arrivò solo quasi due mesi dopo, alla fine di gennaio. C’è infatti da dire che i tempi tecnici di Ema sono ormai noti, e sono stati più o meno gli stessi per tutti i vaccini. Per Pfizer la rolling review iniziò il 6 ottobre 2020, la richiesta di Aic venne presentata il primo dicembre e il via libera arrivò il 21 dicembre. Per Moderna, la rolling review prese il via il 16 novembre, la richiesta di Aic venne presentata il primo dicembre e il via libera arrivò il 6 gennaio. Quanto ad AstraZeneca, la rolling review partì il primo ottobre, la richiesta di Aic venne presentata solo il 12 gennaio e il 29 dello stesso mese arrivò l’ok dell’Agenzia europea. E arriviamo all’ultimo approvato, ossia quello Janssen (Johnson & Johnson). Qui la rolling review iniziò il 1° dicembre, la richiesta di Aic venne formalizzata il 16 febbraio e l’approvazione arrivò l’11 marzo.
Insomma i tempi tecnici dell’Ema presuppongono sempre un’attesa di almeno 3-4 mesi tra inizio dell’esame e via libera alla commercializzazione del vaccino. E non si vede perché questa tempistica debba venire meno solo per Sputnik. Tra l’altro, a differenza del vaccino russo, non solo il vaccino della tedesca CureVac è da prima in fase di rolling review ed è già stato acquistato dalla Commissione europea e quindi inserito nelle tabelle sulle forniture del piano vaccinale, ma sappiamo anche che verrà prodotto con l’ausilio di una multinazionale tedesca come Bayer. Si tratta a tutti gli effetti di un prodotto europeo, basato su tecnologia mRna, la stessa usata da Pfizer e Moderna che ha già dato ottimi risultati contro il Covid. Una tecnologia che permette anche più facilmente modifiche per rispondere alle varianti.
Di contro, come specificato nei giorni scorsi dal premier Mario Draghi, per Sputnik ci sono difficoltà produttive. “Da un’indagine fatta dalla Commissione, possono produrre massimo 55 milioni di dosi, di cui il 40 per cento resta in Russia e il resto all’estero”, aveva spiegato in conferenza stampa, aggiungendo che sarebbe possibile avere le dosi solo nel secondo semestre. Ma a quel punto, stando al piano vaccinale, avremo già la disponibilità di ben oltre 130 milioni di dosi di vaccini già acquistati. Non si comprende la necessità di dover ricorrere a nuovi approvvigionamenti.
Per giunta, il vaccino Sputnik non è tra i più facili da produrre. Prima e seconda dose sono differenti, si tratta di due adenovirus diversi, in pratica due vaccini e cioè due linee produttive diverse. Tra l’altro, la prima dose è molto simile al vaccino Janssen già approvato dall’Ema. Per intendersi, produrre quest’ultimo, che è monodose, richiederebbe la metà del lavoro. Anche per questo la Russia è in cerca di partner per espandere la propria produzione. E, forse, è proprio questo – più che la scarsità di dosi – a solleticare gli interessi della politica nostrana: far confluire finanziamenti dalla Russia per investirli in siti produttivi italiani mettendoli nelle condizioni di produrre il vaccino per l’anno prossimo.
Due le regioni più avanzate sotto questo profilo: la Lombardia, dove nelle scorse settimane Adienne srl aveva annunciato un accordo per produrre lo Sputnik nello stabilimento di Caponago, vicino Monza; e il Lazio, da dove arrivano le maggiori insistenze politiche per una rapida approvazione da parte dell’Ema. Un pressing forse dovuto a legittimi interessi industriali e commerciali, ma che poco c’entrano con l’attuale piano vaccinale.
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