Parla il garante
Nelle carceri "vaccinazioni a rilento, bisogna fare molto di più", ci dice Mauro Palma
I detenuti vaccinati sono solo l'8,6 per cento, troppo poco: "Le regioni procedono in ordine sparso, occorre maggior coordinamento centrale", spiega il garante. Va meglio tra gli agenti, secondo i sindacati "la campagna ora procede a buon ritmo"
"La situazione è preoccupante, ma nessun allarme". Ci si muove a rilento e con sensibili differenze a livello territoriale, ma la campagna di vaccinazione nelle carceri prosegue e accelera: nell'ultima settimana le dosi somministrate tra i detenuti sono state oltre 2.000, mentre in tutto il periodo precedente, quindi a partire all'incirca dalla metà di febbraio, i vaccini inoculati erano stati soltanto 2.500. Un cambio di passo incoraggiante, ma di certo non sufficiente: "Bisogna fare molto di più, perché si procede ancora lentamente", ci dice Mauro Palma, garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale che, intervistato dal Foglio, fa il punto della situazione, dopo la pubblicazione del report settimanale del ministero della Giustizia: al 29 marzo, la quota di detenuti vaccinati si attesta all'8,6 per cento.
Una quota ancora troppo bassa, dovuta alla diversa capacità dei territori di reagire all'emergenza e di mettere in campo una risposta non sempre adeguata. "Quello che a me colpisce della situazione nelle carceri è il doppio passo che si registra tra diverse regioni, come peraltro avviene anche all’esterno", spiega il garante, che descrive dinamiche per certi versi sorprendenti: "La regione che si sta muovendo meglio è la Lombardia, mentre sappiamo bene che al di fuori delle carceri è una di quelle che ha riscontrato le maggiori difficoltà. Come pure va bene in Sicilia", che negli ultimi giorni è finita al centro delle cronache per i presunti dati truccati dei contagi.
In generale, secondo Palma è possibile riscontrare tre diversi movimenti: "Ci sono regioni che stanno andando bene, come Lombardia e Sicilia, appunto, ma anche l'Abruzzo e negli ultimi giorni la Puglia. Ed è discretamente posizionato il Veneto". È all'operato di queste regioni che si deve principalmente l'aumento dell'ultima settimana. "Poi ci sono le regioni come Toscana, Lazio e Molise, dove si attende il siero Johnson & Johnson - che dovrebbe essere disponibile in Italia da metà aprile - perché si è ritenuto più funzionale e veloce ricorrere a un tipo di vaccino che non ha bisogno della dose di richiamo, come nel caso di AstraZeneca". Queste regioni sono ancora a zero, "ma vedo un forte impegno dei provveditorati ad allestire la campagna di vaccinazione".
C'è infine, una terza categoria in cui la situazione è più critica e dove occorre al più presto organizzarsi. "In particolare, ho avuto dubbi su come si è mosso il Piemonte, da dove sono arrivate dichiarazioni piuttosto incaute da parte del commissario regionale – la gestione delle Carceri risulta attualmente commissariata – secondo cui la regione sarebbe intervenuta rapidamente laddove si fosse verificato un cluster. Ma bisogna vaccinare preventivamente, non dopo. E su quest'aspetto attendo dal presidente Alberto Cirio un chiarimento".
"Maggiore coordinamento centrale"
Si va dunque in ordine sparso, riproponendo anche nella campagna vaccinale nelle carceri quelle disfunzioni che hanno caratterizzato anche il rapporto tra stato e regioni durante tutta la gestione della pandemia. E che forse suggeriscono la necessità di un approccio diverso: "Non vorrei essere accusato di centralismo, ma sulle forme di decentramento della sanità, quando questa esperienza sarà finita, dovremo riflettere. Perché non tutto ha funzionato. E dovremo riflettere non per andare verso un centralismo forzato, ma verso un coordinamento maggiore. Un conto è la prossimità nella fornitura dei servizi, e quindi lo loro organizzazione locale. Un altro conto è la centralità degli elementi decisionali", aggiunge ancora Mauro Palma.
Un ulteriore aspetto potenzialmente critico per la campagna di vaccinazione negli istituti riguarda poi gli stessi detenuti, la volontà effettiva di sottoporsi alla somministrazione. "Si conta all'incirca un 10-12 per cento tra le persone recluse che ha rifiutato. Un dato identico a quello che registrato al di fuori dei penitenziari", dovuto all'influenza dei media, spiega ancora il garante, aggiungendo: "Io ho fatto il vaccino AstraZeneca, anche per dare un segnale. E non ho avuto nessun problema".
Quanto ai contagi, "ieri sera i detenuti positivi erano 681, di questi riscontravano sintomi in 12 mentre 18 risultano ricoverati. Ci sono delle situazioni con dei numeri abbastanza significativi, come a Reggio Emilia, Catanzaro, nel settore femminile di Rebibbia e ad Asti". Si tratta però di bolle che "se affrontate con i giusti metodi, se si è in grado di isolare, possono essere agevolmente sgonfiate. La situazione è preoccupante ma non condivido i toni allarmanti", ha concluso Palma.
La campagna di vaccinazione tra gli agenti penitenziari
Il report del ministero di Giustizia offre anche un'istantanea della situazione tra gli agenti di polizia penitenziaria: lunedì scorso risultava vaccinato il 36,8 per cento del personale. Un numero ben diverso rispetto a quello dei detenuti e dovuto al fatto che già dal primo piano vaccinale, la polizia era stata inserita tra le categorie a rischio. Tuttavia, anche in questo caso “le vaccinazioni procedono su base territoriale, quindi con alcune differenze", spiega al Foglio Donato Capece, segretario generale del Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziari.
"La campagna ora procede a buon ritmo – continua Capece – con oltre 13 mila agenti vaccinati. C’è stato soltanto un po’ di sbandamento in concomitanza della sospensione temporanea del vaccino AstraZeneca: una parte di agenti si è detta preoccupata e non sicura di volersi vaccinare. Ma dopo l’approvazione di Aifa, il caso è rientrato”, conclude.
La stessa impressione trova conferma anche a livello locale, nelle parole di Gennaro Ricci, segretario regionale Cgil Puglia per la funzione pubblica - polizia penitenziaria: "C'è stata un po' di diffidenza, ma come in tutta Italia. I dubbi riguardano gli agenti quanto le persone al di fuori delle carceri. Ha giocato un ruolo l’influenza dei media, è successo quello che è successo a chiunque”.