Il Foglio Salute
Il pericoloso confine della libertà dei medici no vax
Un tema urgente di salute pubblica
Gli scettici hanno diritto di non vaccinarsi, ma un ospedale non può essere luogo di contagio per una scelta deliberata di chi deve curare
Quando in un regime democratico come il nostro si parla di obbligatorietà sanitaria si ripensa automaticamente al tempo in cui, prima del 1958 quando venne istituito il ministero della Sanità, esisteva la polizia sanitaria che controllava i comportamenti della popolazione e interveniva con il compito di prevenire o di reprimere. Il cittadino non aveva opzioni, doveva rispettare le disposizioni e non poteva appellarsi al libero arbitrio. Più di mezzo secolo dopo, arrivando quindi ai giorni nostri, il governo decide di rendere obbligatorio il vaccino per la Sars CoV-2 per chi opera accanto ai pazienti, allontanando dal posto di lavoro chi non volesse riceverlo, e più di qualcuno urlerà alla repressione sanitaria, alla violazione dei diritti.
Le persone scettiche sui vaccini – non mi piace mai usare termini che possano offendere come quelli che sento ultimamente rivolgere ai no vax – hanno tutto il diritto di rifiutare un trattamento sanitario come sancito chiaramente anche dalla nostra costituzione, hanno cioè il diritto di essere liberi di scegliere cosa ritengono sia meglio per loro. Troppe libertà individuali sono state sospese, ce ne rendiamo tutti conto e ne soffriamo: il non poter vagolare di notte se uno ne ha voglia è sconcertante, così come il non poter andare in un’altra regione a trovare amici e parenti, o passeggiare in gruppo in un parco in una bella giornata di sole, ed è terribile constatare come la libertà oggi abbia un profumo di rara bellezza così difficile da sentire. Ecco, in questo anno abbiamo riscoperto quanto siano fragili quelle libertà che i nostri nonni hanno costruito e conquistato per noi. Ma quante forme ha la libertà? Parliamo di libertà solo quando vengono coinvolti i diritti individuali o si può pensare di allargare il perimetro di osservazione e guardare al di là del proprio tornaconto personale? Certamente uno dei concetti di libertà – che non è negoziabile – è quella di entrare in un ospedale senza rischiare di essere infettati da chi ha liberamente scelto per sé di non vaccinarsi. Lo stato, come è giusto che sia, ha iniziato con un atteggiamento persuasivo a parlare di vaccinazioni, cercando cioè di rendere consapevoli gli operatori, che più di chiunque altro sanno come devasta e uccide il Covid, di quanto sia importante non solo proteggersi ma proteggere. Ospedali e Rsa nell’ultimo anno hanno generato oltre 100.000 morti. Non basta? No, evidentemente, se neanche la costante vicinanza con la morte li ha convinti a mettere in atto tutte quelle buone prassi per tutelare la salute di chi, oggi, non può tutelarsi da solo.
Lo stato deve sempre motivare le sue scelte, soprattutto quelle più estreme, e io credo che le ventisette persone infettate in una Rsa a causa di un operatore dichiaratamente no vax – parliamo di una situazione che è a noi nota, ma sicuramente ce ne saranno altre che non conosciamo – siano un legittimo motivo per intervenire in questo senso, oltre al fatto che anche se uno solo di quei pazienti dovesse morire dovrebbe intervenire la giustizia penale. Non credo sia accettabile che un medico che tenta di tutto per salvare una vita umana senza purtroppo riuscirci rischi una denuncia, mentre chi scientemente mette a rischio un soggetto fragile, in caso di contagio ed eventuale morte si trovi solo a dover appendere il camice o a non ricevere lo stipendio. Non si tratta di una lotta tra il diritto di chi sceglie di non vaccinarsi e chi invece decide il contrario. E’ un tema urgente di salute pubblica.
Rosaria Iardino
Presidente Fondazione The Bridge