sputnik e l'europa
I conti che non tornano sui dati di efficacia del vaccino russo
In una lettera all’Ema le perplessità di un gruppo internazionale di scienziati (anche russi)
C’è gente, tra cui qualche mio amico, che sarebbe disposta a utilizzare canali non si sa quanto legittimi pur di farsi inoculare il vaccino Sputnik – anche se magari è già prenotata per AstraZeneca. Dunque, parliamo ancora una volta di Sputnik. Proprio ieri, insieme a diversi colleghi di ogni paese del mondo – anche russi – abbiamo pubblicato una prima lettera sul British Medical Journal, in cui sottolineiamo un aspetto importante sui dati di efficacia sin qui comunicati: un semplice test statistico può dimostrare che tutti quei 90 e passa per cento di efficacia discussi in tre comunicazioni ad interim sono troppo omogenei per essere veri – ovvero i numeri comunicati, tenendo conto della variabilità intrinseca che si dovrebbe osservare, sono troppo simili – e sono anche troppo simili a quel 91,6 per cento di efficacia pubblicato sul Lancet dopo la fase 3. Il Lancet, a sua volta, mi ha richiesto una lettera per dettagliare tutti i restanti aspetti critici che riguardano l’articolo pubblicato sulla fase 3, che si spera saranno a breve pubblicati da quel giornale; in sostanza, i lettori ricorderanno che il problema principale sta nella non disponibilità dei dati che permettano di riottenere i risultati pubblicati. Non, quindi, di ogni singolo dettaglio su ogni singolo paziente, ma solo il minimo sindacale per riprodurre almeno i conti degli autori.
Come annunciamo nella lettera pubblicata da Bmj, le nostre perplessità sono state trasmesse anche all’Ema; e il fatto stesso che esista un canale, attraverso cui chiunque possa comunicare dubbi e problemi scientifici su un vaccino, dovrebbe farci riflettere sul valore e sul significato dell’Agenzia di farmacovigilanza europea. Del resto, l’Ema sembra condividere almeno alcune delle perplessità nostre e di altri gruppi sulla reale consistenza dei dati presentati dai russi: in un articolo del Financial Times si annuncia che un team scientifico di Ema vuole investigare se i ricercatori russi abbiano seguito le buone pratiche cliniche, etiche e scientifiche durante la loro sperimentazione di Sputnik.
A ciò si aggiunge il fatto che in Slovacchia, dove Sputnik è diventato un caso politico a causa del modo frettoloso in cui il primo ministro ha proceduto all’acquisto di dosi, la principale agenzia regolatoria Sukl e il ministro della Salute hanno dichiarato ancora una volta che mancano i dati sul vaccino Sputnik e che non si può autorizzare il suo uso, “a causa di una quantità di dati mancanti dal produttore, incoerenza delle forme di dosaggio e l’impossibilità di confrontare fra loro i lotti utilizzati in vari studi e paesi” . I dati, ancora una volta, proprio come con tanti altri ricercatori chiedo da mesi. Proprio quei dati che, sprezzantemente, il capo delle ricerche su Sputnik dichiarò di non poter fornire a chiunque dei 7 miliardi di abitanti del mondo li richiedesse, in risposta alle domande della comunità scientifica internazionale.
Intanto, in Italia partono gli studi su Sputnik – in aggiunta allo studio annunciato dallo Spallanzani sulle varianti è interessante quanto annunciato dall’Università di Ferrara, che utilizzando i dati ricavati da 10.000 abitanti di San Marino cercherà di valutare la reale efficacia e sicurezza, in maniera indipendente.
Così forse, rivolgendosi ad altri paesi e utilizzandone come cavie gli abitanti e come scienziati i ricercatori del luogo, finalmente i russi riusciranno ad avere qualcosa di solido, seguendo il metodo scientifico sperabilmente con maggior rigore e senza comunicare numeri che non stanno in piedi. E alla fine, sempre che i problemi di produzione si risolvano, potremo avere un altro vaccino ad adenovirus, che – potete scommetterci – funzionerà esattamente come tutti gli altri vaccini ad adenovirus, né meglio né peggio.
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