cattivi scienziati
Sputnik Politics
Dietro all’accordo siglato dallo Spallanzani e russi ci sono diverse questioni aperte
A Roma, è stato firmato un protocollo di intesa fra l’Istituto Spallanzani (Inmi) e l’istituto russo di ricerca Gamaleya, asseritamente allo scopo di condurre ricerche sul vaccino Sputnik V, con l’auspicio di arrivarne all’utilizzo in sperimentazioni cliniche su qualche migliaio di volontari in Italia. Vale la pena di soffermarsi a esaminarne qualche dettaglio. Cominciamo dall’oggetto dell’accordo fra i due istituti. A quanto pare, considerata la presenza presso Inmi di circa 120 ceppi diversi di Sars-CoV-2 tra cui ad esempio la variante inglese e quella brasiliana, “nell’ambito di questa collaborazione Inmi si farà parte attiva per condividere questi ceppi con il Centro N. F. Gamaleya”. Eppure, non solo molte di queste varianti – tra cui proprio quella inglese e quella sudafricana – sono già state isolate in Russia, ma addirittura Alexander Gorelov, capo dell’Istituto di epidemiologia di una delle principali agenzie russe (Rospotrebnadzor) ha affermato in televisione che lo Sputnik V è già stato testato e trovato efficace contro le nuove varianti, a seguito di un ordine di investigare arrivato mesi fa da Putin.
Perché, quindi, si legge nel protocollo di intesa che, fra le altre cose, si intende “monitorare l’efficacia del vaccino alla luce della diffusione delle nuove varianti”? I russi non lo hanno già fatto, come hanno dichiarato alla Reuters, e a che serve trasferire i ceppi conservati presso Inmi, visto che i test sarebbero già stati effettuati in Russia, almeno sulle varianti più preoccupanti? In corrispondenza di questo misterioso invio di ceppi virali da Inmi alla Russia, si legge che “sarà considerata la disponibilità di ottenere campioni seriati nel tempo come quelli ottenuti dai volontari arruolati nei trial clinici condotti in Russia”. A che scopo, di grazia? Visto che, si legge successivamente nello stesso documento, “le peculiarità tecniche inerenti le modalità di ricerca di risposta immunitaria cellulare – tali da non consentire il congelamento e la conservazione di Pbmc in quanto possibile causa di distorsione dei risultati di una ricerca – richiedono lo svolgimento della ricerca di risposta immunitaria cellulare in volontari vaccinati nel quadro della ricerca clinica in Italia”, cosa si farà con i campioni russi?
Ma poi, venendo alla giustificazione per la quale le ricerche dovrebbero essere condotte in Italia, consistente nell’impossibilità di utilizzare campioni russi congelati: ma perché le ricerche in questione, peraltro già in gran parte documentate durante lo sviluppo clinico del vaccino, non dovrebbero svolgersi in Russia? Forse che mancano volontari in quel paese?
Ma andiamo avanti. Nel protocollo si legge che si intende condurre in Italia uno studio comparativo dell’efficacia dei diversi vaccini, il che sembra sensato, dato che paragonare l’efficacia in maniera diretta in un singolo studio è molto più accurato che non paragonare i diversi studi già condotti. Tuttavia, questo comporterà la selezione in cieco di soggetti che riceveranno Sputnik e di altri che riceveranno per esempio Pfizer: qual è la giustificazione etica per sottoporre, nello stesso studio, alcuni volontari a una vaccinazione sicura ed efficace, e altri ad una di cui, a giudicare dallo stesso protocollo di intesa, si vuole ancora determinare l’efficacia?
Probabilmente, la risposta a tutte queste domande è in un’affermazione che si fa nello stesso protocollo di intesa: “Questo tipo di studi di ricerca operativa serviranno a integrare prontamente lo ‘Sputnik V’ nella campagna vaccinale italiana”. Notare bene: questo non è un obiettivo di ricerca. Si è presa una decisione – quella di adottare il vaccino russo nella campagna vaccinale italiana – e si vuole giustificarla con “questi studi”.
Come era già apparso in precedenza, nel sentire certe dichiarazioni, esiste un’agenda precisa per la quale si è già stabilito qualcosa; manca la “pezza d’appoggio scientifica”, come la frase citata tradisce senza ambiguità. Forse è per questa ragione che tutto è ratificato dalla regione Lazio, e in particolare dal suo assessore alla Salute, e oltre alle firme sue e dei direttori dei due istituti di ricerca vi è quella del ceo del fondo sovrano di investimenti russo Rdif. Forse cioè non si tratta di una semplice collaborazione scientifica, ma di un’operazione benedetta dalla politica, che effettua un ennesimo tentativo di ingerenza, cui si piega un importante ente di ricerca come lo Spallanzani, che farebbe bene a stare alla larga da certi interessi. Ecco come un vaccino che ci si aspetta buono come altri – visto che ne condivide le componenti di base – continua a essere utilizzato per scopi diversi da quelli che si potrebbero immaginare, distorcendo la ricerca per ragioni di propaganda, di politica e forse di finanza.