I nodi del "vaccino invitaliano" vengono al pettine
Ora ReiThera attraverso il governo discute con CureVac per partecipare alla produzione di un vaccino a Rna europeo. Cambio di tecnologia, nessuna pubblicazione scientifica e abbandono dell'autosufficienza vaccinale. Così emergono tutti i prevedibili limiti del progetto statale e sovranista
A quanto pare, l’azienda farmaceutica ReiThera, quella che dovrebbe produrre un nuovo vaccino adenovirale e per questo ha ottenuto un finanziamento pubblico da Invitalia per un contratto di sviluppo da 81 milioni di euro, secondo quanto riporta il Financial Times è entrata attraverso il governo italiano in colloqui preliminari con la multinazionale svizzera Novartis per partecipare alla produzione del primo vaccino a Rna interamente europeo, quello della tedesca CureVac (di cui abbiamo parlato recentemente su queste pagine e con cui Novartis ha già firmato un accordo).
Niente di male. Anzi, aiutare a produrre vaccini autorizzati o quasi, come quello in questione, era proprio quanto auspicavamo sul Foglio invece della scelta di imbarcarsi in nuove sperimentazioni (purché, naturalmente, se ne abbiano le capacità industriali). Tuttavia, è necessario a questo punto chiedersi a che punto sia l’altro vaccino – quello promesso in oltre 100 milioni di dosi, magnificato da esponenti di punta dell’Aifa e dello Spallanzani in conferenza stampa, quello finanziato dal Cnr e dalla regione Lazio prima e da Invitalia poi con un investimento arbitrariamente deciso attraverso una procedura che ha visto attivarsi reti amicali per accelerare le cose, come a suo tempo dichiarato dal direttore generale di Aifa, fino a che lo stato ha acquisito il 30% del capitale di ReiThera.
Innanzitutto, non si è ancora capito quali siano i dati della fase 1. Dove sono i dati sbandierati in conferenza stampa, di cui si era promessa la pubblicazione il 4 gennaio? A testimonianza degli esperimenti fatti, ci sono state fino a una settimana fa solo le slide fugacemente intraviste in quella conferenza stampa, che sempre più appare solo come il trampolino di lancio per l’investimento fortissimamente voluto e poi realizzato senza nessuna ulteriore giustificazione. Quei dati, ricorderete, erano incompleti e davano adito a qualche dubbio ai quali fu promesso di dare una risposta entro poco tempo attraverso una pubblicazione scientifica. Sono passati oltre tre mesi, e lavori su riviste peer-reviewed non si sono ancora materializzati. Da poco è comparso un preprint, la cui analisi discuteremo in altra sede. Ma vien da chiedersi come mai, visto che il lavoro era già stato sottomesso, abbiamo solo un preprint, peraltro pubblicato non in anticipo rispetto all’annunciata sottomissione a rivista, ma dopo. A parte i dati di fase 1, è noto che a marzo è cominciato l’arruolamento per la fase 2, e le cose sono andate in questo senso bene, perché i volontari che si sono presentati sono stati molti di più di quelli richiesti. Ma cosa gli è stato raccontato? Cosa è stato detto a questi volontari, visto che la comunità scientifica internazionale non ha avuto la possibilità di giudicare la solidità dei risultati di fase 1? Quanto è stato informato il loro consenso? E, visto che le iniezioni, a quanto pare, sono a buon punto, si potrebbe almeno sapere, data la partecipazione pubblica, quando e in che forma verranno comunicati i risultati, e soprattutto quando saranno disponibili i dati anche per la fase 2 in maniera dettagliata, così che si possa giudicare della bontà del prodotto?
A giugno dovrebbe poi cominciare la fase 3, che nelle intenzioni dovrebbe quindi terminare entro l’anno. Per poi arrivare, in caso di esito soddisfacente, alla produzione di circa 10 milioni di dosi al mese a partire dal 2021. Nel frattempo, però, i vaccini basati su vettore adenovirale sembrano sempre più la cenerentola delle tecnologie del settore, con l’Unione europea che probabilmente non rinnoverà il contratto ad AstraZeneca e a Johnson & Johnson, il cui vaccino è momentaneamente sospeso. In queste condizioni, presentarsi in ritardo con un nuovo vaccino adenovirale (molto vicino a quello di Astra Zeneca, essendo basato su un diverso adenovirus di scimmia) potrebbe rivelarsi problematico. Se ci sono dubbi su vaccini molto efficaci e utilizzati in decine e decine di milioni di dosi in tutto il mondo, molti di più ve ne sarebbero su di uno con tecnologia analoga ma non ancora usato e senza i dati necessari per valutare le potenziali rare reazioni avverse che emergono solo su grandissimi numeri. Il che, naturalmente, porta ancora una volta sotto il riflettore l’opportunità di investire proprio sul vaccino di ReiThera quando era chiaro che si stava investendo su un prodotto “ritardatario” invece di puntare su quelli già dimostratisi efficaci.
E’ evidentemente più facile dirlo adesso, ma questa osservazione venne fatta su queste pagine a suo tempo, pochi giorni dopo l’annuncio dell’operazione Invitalia-ReiThera. Se però i colloqui tra Novartis, CureVac, ReiThera e il governo italiano dovessero condurre a un accordo che preveda quindi il cambio del vaccino da produrre, cadrebbe il presupposto di politica industriale con cui Invitalia aveva giustificato l’investimento in ReiThera. L’obiettivo del “vaccino Invitaliano”, secondo l’ad di Invitalia Domenico Arcuri, era “raggiungere una qualche indipendenza nella dotazione di vaccini”. Con questa operazione sovranista si puntava, insomma, a ottenere un’autonomia e un’autosufficienza rispetto alle multinazionali e alle catene europee di produzione. Se, invece, grazie alla nuova linea del governo Draghi ReiThera dovesse arrivare a un accordo con Novartis/CureVac per partecipare a un pezzo del processo produttivo, l’elemento sovranista-autarchico decadrebbe. Perché, essendo CureVac uno dei vaccini già presenti nel portafoglio degli acquisti della Commissione europea (e quindi anche nel nostro piano vaccinale) la produzione sarebbe destinata a tutta l’Unione europea e distribuita all’Italia pro quota, come accade per gli altri vaccini. Il miraggio politico del “vaccino Invitaliano”, statale e sovranista, svanirebbe ma in compenso gli italiani otterrebbero prima dei vaccini a Rna approvati ed efficaci.
Se invece il nuovo accordo dovesse essere aggiuntivo rispetto alla produzione del vaccino adenovirale, non si capisce come un’azienda che non era in grado di produrre da sola il primo possa ora produrne due, e con differenti tecnologie (perché il secondo è a Rna). Bene quindi la nuova direzione impressa dal presidente del Consiglio Mario Draghi e l’iniziativa del ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti di esplorare una possibile produzione di vaccini a Rna, e bene anche l’eventuale partecipazione di ReiThera a questo processo. Tuttavia, chi ha investito denaro pubblico in un certo progetto e chi quel denaro l’ha ricevuto hanno il dovere della chiarezza, della trasparenza e della prontezza nella comunicazione di numeri che siano verificabili. Non si può presentare qualche slide e un preprint a valle di 8 milioni di denaro pubblico ricevuto, per poi ottenerne ancora 81 e scomparire nuovamente per mesi dai radar, senza nemmeno una pubblicazione scientifica revisionata, che dimostri almeno che qualche componente della comunità scientifica (i revisori anonimi e il board di una rivista) abbiano reputato quei dati sufficientemente solidi ad essere pubblicati, perché la comunità scientifica possa cominciare a discutere di cose concrete.
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