Nel Pnrr serve più coraggio sulla Sanità
Il tema della politicizzazione delle nomine dei primari non può essere accantonato
Cancellata dal Pnrr una svolta che avrebbe tolto potere alla politica sulla scelta dei primari
Nell’ultima versione del Recovery plan, quella che oggi il Consiglio dei ministri esaminerà per l’invio a Bruxelles entro il 30 aprile, non c’è più un passaggio rilevante per la Sanità. È sparito infatti il riferimento a una riforma della nomina dei primari ospedalieri, che aveva come obiettivo quello di tenere fuori la politica dagli ospedali. Un meccanismo per rendere trasparente la selezione dei primari e fare in modo che il criterio usato non sia più l’appartenenza politica ma la competenza. Nel paragrafo su “Abrogazione e revisione di norme che alimentano la corruzione”, in una precedente versione del Pnrr, c’era infatti scritto che: “Il settore della Sanità oggi più che mai richiede correttezza e trasparenza. Ad esempio, vi sono norme sulle nomine dei primari ospedalieri che prevedono una valutazione tecnica di una commissione composta da medici, ma lasciano poi, per la scelta definitiva del primario, eccessiva discrezionalità ai direttori delle Aziende sanitarie locali”. E un riferimento analogo sulla nomina del personale delle Asl. Questo passaggio non c’è più, è stato completamente rimosso.
Ma come funziona la nomina di un primario? Con la riforma Balduzzi del 2012, la selezione viene effettuata da una commissione composta dal direttore sanitario e tre direttori di struttura complessa nella stessa disciplina dell’incarico da conferire, scelti tramite sorteggio da un elenco nazionale. La commissione elegge un presidente fra i tre componenti sorteggiati e presenta al direttore generale una terna di idonei sulla base dei migliori punteggi ottenuti. Il direttore generale individua il candidato da nominare sulla base della terna predisposta e, qualora non intenda nominare uno dei due candidati che non hanno conseguito il punteggio migliore, deve motivare la scelta. Quanto alla nomina dei primari universitari, questa viene effettuata dal direttore generale d’intesa con il rettore, sentito il dipartimento universitario competente, sulla base del curriculum.
Questi sono i meccanismi sui quali il governo voleva intervenire, riducendo gli ampi margini di discrezionalità (politica) e introducendo maggiore accountability. Ma intervenire in questo modo vuol dire togliere potere alle regioni che controllano la Sanità spesso gestendola come una macchina di consenso e clientele. E probabilmente non è un caso se questo passaggio è venuto meno proprio a poche ore da una sfiorata crisi istituzionale tra governo e regioni riguardo al decreto sulle riaperture. Il casus belli ha riguardato la riapertura delle scuole. A tuonare contro le scelte di Draghi e Speranza era stato il presidente della Conferenza delle regioni, Massimiliano Fedriga: “L’aver cambiato in Consiglio dei ministri un accordo siglato dalla Conferenza delle Regioni sulla presenza di studenti a scuola è un precedente molto grave che ha incrinato la reale collaborazione tra Stato e regioni. Credo non sia mai avvenuto prima”, aveva dichiarato il governatore leghista del Friuli-Venezia Giulia. Poi in una lettera indirizzata al premier Draghi le regioni prendevano posizione anche contro il coprifuoco alle 22, chiedendo l’anticipo di diverse aperture previste solo per i mesi di maggio: scuole chiuse, tutte le attività aperte. In pratica una bocciatura del decreto. Su questa linea sono tutti d’accordo, anche le regioni di sinistra. E lo sarebbero state, sicuramente, anche nel difendere il potere di nomina dei primari. È in questo contesto che il governo ha tolto il riferimento dal Pnrr. Ma il tema della politicizzazione delle nomine nella Sanità, soprattutto alla luce della pandemia, non può essere accantonato.