Così la campagna rallenta
Età e richiami, i continui cambi producono incertezza sui vaccini
Prima il caso AstraZeneca, ora Pfizer. Modificare troppe volte le indicazioni d'uso dei farmaci rischia di avere come conseguenza non solo il disorientamento della popolazione, ma anche la percezione ingiustificata di scarsa sicurezza
I richiami per i vaccini di Pfizer e Moderna a 42 giorni sono un azzardo? Se ne sta discutendo molto in questi giorni dopo che la circolare del ministero della Salute dello scorso 5 maggio ha raccomandato questa estensione temporale delle seconde dosi con le seguenti motivazioni: “La seconda dose entro i 42 giorni dalla prima non inficia l’efficacia della risposta immunitaria; la prima somministrazione di entrambi i vaccini a Rna conferisce già efficace protezione rispetto allo sviluppo di patologia Covid-19 grave in un’elevata percentuale di casi (maggiore dell’80 per cento); in uno scenario in cui vi è ancora necessità nel paese di coprire un elevato numero di soggetti a rischio è opportuno dare priorità a strategie di sanità pubblica che consentano di coprire il maggior numero possibile di soggetti nel minor tempo possibile”.
Le polemiche sono nate, però, dopo che l’11 maggio Valeria Marino, direttore medico di Pfizer Italia, ha sottolineato come il vaccino sia stato testato per una seconda somministrazione a 21 giorni. “È una valutazione del Cts, osserveremo quello che succede. Come Pfizer dico però di attenersi a quello che è emerso dagli studi scientifici perché questo garantisce i risultati che hanno permesso l’autorizzazione. Dati su di un più lungo range di somministrazione al momento non ne abbiamo se non nelle osservazioni di vita reale, come è stato fatto nel Regno Unito”.
Ora, se è vero che nel riassunto delle caratteristiche del prodotto si parla di un intervallo di tre settimane perché è ciò che è stato studiato nella sperimentazione che ha portato all’approvazione di questo vaccino, lo è altrettanto che nei test clinici la seconda dose era autorizzata in una finestra fino a 42 giorni e in alcuni casi il richiamo è stato fatto oltre le tre settimane. La raccomandazione prevista dalla circolare del ministero della Salute non può dunque essere tecnicamente considerata come un uso del vaccino al di fuori dalle condizioni autorizzate. A questo si deve poi aggiungere quell’esperienza di “vita reale” richiamata dallo stesso direttore medico di Pfizer Italia. Si può quindi dire che oggi anche la campagna vaccinale italiana può trarre giovamento dal “coraggio” dimostrato nei mesi scorsi dalle tanto contestate decisioni di Boris Johnson nel Regno Unito.
Grazie a quelle scelte definite un “azzardo” da molti esperti nostrani che avevano a più riprese parlato del Regno Unito come di un “laboratorio a cielo aperto”, oggi si hanno ulteriori elementi per poter decidere un allungamento dei tempi tra le somministrazioni delle due dosi che ci permetterà di mettere in sicurezza molte più persone in tempi più brevi. Le scelte conservative, e spesso fin troppo prudenziali dell’Italia, con il senno di poi, si sono rilevate un’inutile zavorra se messe a paragone con gli esiti della campagna vaccinale del Regno Unito. Un ulteriore elemento di confronto in tal senso può essere ben rappresentato dal caso AstraZeneca.
Mentre oltremanica il vaccino anglo-svedese veniva utilizzato fin da subito senza alcuna limitazione di età, da noi si è assistito a un reiterato cambio di regole riguardo le indicazioni di utilizzo “preferenziale” che ha avuto come conseguenza non solo il disorientamento della popolazione, ma anche un’ingiustificata percezione di scarsa sicurezza del prodotto. Questa ha portato prima a un uso distorto (partendo dai più giovani) e poi uno scarso utilizzo del vaccino in diverse zone del paese, con conseguente rallentamento della campagna.
E non è ancora finita visto che, nei prossimi giorni, sembra che il Cts sia intenzionato a estendere l’utilizzo del vaccino AstraZeneca, a oggi previsto in via preferenziale per gli over 60 – pur restando approvato per tutta la popolazione over 18 – anche alla fascia tra i 50 e i 60 anni, vista l’imminente aperture della nuova fase del piano vaccinale. Una decisione che, quasi certamente, verrà accompagnata da nuove polemiche e dubbi.
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