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Brevetti e Covid. Perché la demagogia può abbattere i vaccini

Cesare Galli*

Diritto alla salute? L’abolizione dei brevetti e i divieti d’esportazione non sono scorciatoie: sono strade senza uscita

Il primo, inevitabile risultato dell’annuncio dato dal Presidente Biden dell’appoggio americano alla “sospensione temporanea” dei diritti sui brevetti legati alla lottta contro il Covid – in pratica, un esproprio parziale, posto che il contenuto del brevetto consiste nel diritto di sfruttare in esclusiva l’invenzione che ne forma oggetto per un determinato periodo di tempo – è stato quello di bloccare, o comunque di frenare le trattative in corso per la concessione di licenze per la produzione dei vaccini. Non si negozia in una situazione di incertezza giuridica. Non ci si obbliga a pagare royalties che potrebbero essere cancellate o sostituite con un indennizzo (non si sa ancora su quali basi calcolato) tra poche settimane. Dunque non solo, come ha detto con grande lucidità Ursula von der Leyen, “Sul breve termine la deroga alla proprietà intellettuale non risolverà i problemi, non ci porterà una singola dose”, ma con ogni probabilità ce ne porterà molte di meno o le farà produrre più tardi. Un tipico esempio delle buone intenzioni di cui è lastricata la strada per l’inferno.

 

I danni potrebbero però essere ancora maggiori nel medio termine, che è egualmente importante in un’emergenza che, come quella innescata dal Covid-19, è destinata a durare, con un virus mutante contro il quale dunque serviranno altri vaccini, oltre a quelli già in uso, e quindi nuove ricerche e nuove invenzioni. Forse lo si dà per scontato, ma il primo spunto di riflessione che l’emergenza Covid-19 ci offre sul ruolo e sul futuro della proprietà intellettuale e in particolare sul tema del rapporto tra diritto alla salute e brevetti  viene proprio dal fatto che i vaccini ci sono, che sono nati essenzialmente da ricerche condotte dall’industria e che sono arrivati molto prima (e molto più numerosi) di quanto si prevedesse inizialmente. Si tratta di un risultato che non era affatto scontato. Questi vaccini, infatti, non sono sorti dal nulla, ma poggiano anzitutto su ricerche e su brevetti anteriori all’emergenza, sviluppati evidentemente per scopi diversi, ma rivelatisi egualmente utili per questa sfida. Esattamente come avvenne per lo sbarco sulla Luna, traguardo raggiunto dagli Americani e non dai Russi, nonostante l’enorme ritardo iniziale dei primi nella corsa allo spazio, proprio perché l’industria civile statunitense aveva conseguito, anche per altri fini, essenzialmente di mercato, strumenti rivelatisi indispensabili anche per l’astronautica, come la miniaturizzazione dell’elettronica. 

In questo caso come in quello, l’ambiente competitivo creato dalla possibilità di sfruttare in esclusiva, mediante i brevetti, i risultati delle proprie ricerche applicate, traendone così profitto (proprio quello, sì: il tanto vituperato profitto), si è cioè dimostrato un fattore decisivo per promuovere l’innovazione e quindi per disporre già in anticipo di tasselli importanti per fronteggiare anche questa emergenza, sicuramente imprevedibile: proprio grazie ai brevetti, il mercato stimolerà infatti sempre più soggetti a fare ricerca in questi campi, nella prospettiva di poterci guadagnare, creando maggiore concorrenza tra innovatori, consentendo più scelta anche per soddisfare esigenze in parte diverse, costi inferiori e maggiore qualità, perché essi competeranno tra loro per accaparrarsi le maggiori quote di mercato, anche tramite il licensing: cosa che senza i meccanismi per la legittima protezione della proprietà intellettuale non sarebbe possibile, scatenando invece una “guerra al ribasso”, in cui non vince il migliore, ma chi ha le migliori protezioni politiche per operare in regime di sostanziale monopolio (e senza responsabilità in caso di fallimenti o effetti negativi, come già sta accadendo in Russia o in Cina, con risultati non certo tranquillizzanti in termini di sicurezza): il che è invece il sicuro effetto della scelta dell’esproprio. E’ del resto illusorio pensare che migliori finanziamenti alla ricerca pubblica potrebbero supplire a quella privata: anche nei paesi che, a differenza del nostro, dedicano una parte rilevante del bilancio dello stato a questo scopo, il coinvolgimento dell’industria privata è risultato essenziale, anche perché è lì che risiede il know how produttivo, indispensabile per produrre e confezionare vaccini veramente sicuri; e non è neppure vero che i finanziamenti della ricerca che ha portato ai vaccini vengano tutti dagli stati, se si pensa che questi finanziamenti hanno contribuito solo per il 15 per cento circa alle ricerche per il vaccino Pfizer e per il 18 per cento circa a quelle per il vaccino AstraZeneca (dati di fonte Ispi). Proprio nella prospettiva costituzionale della miglior tutela del diritto alla salute, allora, abolizione dei brevetti e divieti d’esportazione non sono scorciatoie: sono strade senza uscita.

Ad avere salvaguardato al meglio la salute dei propri cittadini sono stati dunque gli stati e le organizzazioni che, in modo lungimirante, già prima che i vaccini fossero stati realizzati hanno individuato possibili alleanze strategiche con le imprese le cui ricerche sembravano più promettenti, identificando anche siti produttivi (e in Italia – dove si produce il 52 per cento dei farmaci venduti sul mercato europeo – questi siti ci sono) in grado di produrre su licenza e affrontando in anticipo e in modo collaborativo il tema della compliance con i requisiti regolatorî per la produzione, molto gravosi, perché richiedono lunghi processi di validazione per inderogabili ragioni di sicurezza: e anzi varrebbe la pena di domandarsi se il nostro ministero della Salute ha proceduto a censire questi possibili siti produttivi e a vagliare la disponibilità dei loro titolari.   
Le best practices da imitare sono cioè quelle di chi ha lavorato insieme e non contro i titolari dei diritti, per rendere possibile un effettivo aumento della produzione, al quale questi ultimi non possono essere contrari, perché proprio in una logica di mercato, è appunto il licensing volontario (cui Astra Zeneca ha già fatto ampio ricorso, in particolare in India, e a cui anche Moderna si è già dichiarata almeno in parte disponibile, sia pure ovviamente con un forward looking statement, che in base al diritto statunitense la lascia libera di valutare poi caso per caso le singole offerte, come è logico che sia, anche per salvaguardare la propria reputazione di fronte a richieste di soggetti inadeguati) la soluzione ideale quando la domanda è superiore all’offerta, come ovviamente non poteva non accadere di fronte a una pandemia. Occorre dunque avere una visione del futuro che è sinora mancata, e non solo sulla guerra alla pandemia: un virus mutante come il Covid-19 rischia infatti di durare a lungo e obbligarci a vaccinarci più volte nei prossimi anni.

 

Si deve perciò lavorare per aumentare stabilmente la capacità produttiva dei vaccini a livello mondiale, anche perché lasciare sole l’Africa o certe aree dell’Asia e del Centro e Sud America (o limitarsi a interventi-tampone in una logica di brevissimo periodo, come quelli basati sulla sospensione dei brevetti) significa innescare bombe a orologeria: proprio per questo va incoraggiato il programma Covax, cui ovviamente anche l’Italia partecipa, che mira anche a finanziare la vaccinazione anche nei paesi più poveri. La strada da seguire, se si vuole  innescare un cambiamento duraturo, è cioè quella di ricorrere a strumenti di mercato, non a espropri, collaborando con gli innovatori e incoraggiandoli attraverso la remunerazione che le esclusive consentono loro di ottenere per i loro successi, come è necessario fare in tutti i settori, a cominciare da quelli in cui si manifestano i “nuovi bisogni” del nostro tempo, dalla promozione della qualità della vita all’accrescimento della sostenibilità ambientale. Solo in questo modo dalla crisi potrà nascere una nuova stagione di crescita e di sviluppo, con benefici per tutti: se la politica metterà da parte divisioni e contrapposizioni, operando concordemente, insieme alle imprese, per creare le condizioni di un nuovo miracolo economico, che è possibile oggi, come lo fu nel 1945; e se ci sarà chiarezza sugli obiettivi e costanza nel perseguirli

 

*professore di Diritto industriale, Università di Parma

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