CATTIVI SCIENZIATI
AstraZeneca, un richiamo al buio
Una sola certezza: della vaccinazione eterologa non sappiamo nulla. Autorizzare la seconda dose con un vaccino diverso fa cartastraccia del metodo scientifico
Quali sono i dati di cui disponiamo per valutare sicurezza ed efficacia della cosiddetta strategia vaccinale “mix and match” o eterologa, ovvero della somministrazione di una seconda dose di vaccino diversa dalla prima, nel caso la prima sia il prodotto di AstraZeneca? Questa è una domanda di non poco conto, perché su quei dati deve poggiare qualsiasi decisione della politica o delle agenzie regolatorie circa eventuali deviazioni dalla vaccinazione sin qui approvata, quella con due dosi dello stesso vaccino.
Cominciamo a sgombrare il campo da alcune considerazioni fatte da chi pensa che sostenere la vaccinazione eterologa possa basarsi sulle chiacchiere: le notizie di altri paesi che hanno già adottato questa strategia non contano nulla, perché non è sulle notizie o sugli usi di altri paesi, ma sui dati controllati che deve basarsi ogni scelta che riguardi la profilassi vaccinale e la salute di milioni di individui. Dunque, smettiamola di citare altri paesi, ai cui dati non abbiamo accesso e su cui quindi non possiamo esprimere giudizi: per autorizzare una nuova procedura c’è bisogno di tutto quanto viene usualmente sottomesso a un’agenzia regolatoria come Ema che, per fare un esempio, mantiene ancora sospeso il giudizio su Sputnik. Questo perché, nonostante il vaccino russo sia stato somministrato a milioni di individui, i dati non sono ancora sufficienti a permettere un’analisi solida per trarre conclusioni.
Dunque dove sono questi dati, ad esempio per il caso in cui, dopo una prima dose di AstraZeneca, si faccia un richiamo con un vaccino a Rna? Dove sono cioè i risultati degli studi su decine di migliaia di individui (ciò che è stato necessario per arrivare all’approvazione dei vaccini correnti), in cieco, in cui una doppia dose di AstraZeneca sia paragonata in un trial randomizzato e per ciascuna fascia di età a due dosi eterologhe?
La risposta non potrebbe essere più chiara: questi dati non esistono ancora. Alcuni trial clinici (Combivacs in Spagna e Com-Cov in Inghilterra, per esempio) stanno appunto investigando l’efficacia e la sicurezza della vaccinazione eterologa, e si aggiungono a sporadici studi osservazionali su qualche decina o meno di volontari; ma trattandosi di trial in fase piuttosto precoce, al massimo in fase 2, i dati ad interim che sono appena arrivati riguardano la valutazione preliminare della sicurezza e della reattogenicità su popolazioni di dimensioni assolutamente insufficienti per trarre conclusioni solide (senza considerare che molti dei risultati non sono ancora nemmeno stati pubblicati su riviste peer-reviewed, ma solo su preprint senza revisione). Se qualcuno si presentasse con dati incompleti al massimo di fase 2 su un certo vaccino, si procederebbe senza nemmeno aspettare i dati definitivi a una vaccinazione su larga scala con il protocollo che si è appena cominciato a sperimentare?
Perché è questo ciò che stiamo facendo in Italia. Con un’ulteriore aggravante: gli studi inglesi (Com-Cov Com-Cov II) stanno investigando l’effetto del trattamento su persone di età superiore ai 50 anni: in che modo i dati che stanno derivando da tali studi possono supplire alla mancanza di dati per le fasce giovani, proprio quelle che stiamo costringendo a un trattamento che non è nemmeno il caso di chiamare sperimentale, visto che non esiste alcun protocollo approvato?
Per capire ancora meglio: noi siamo venuti a conoscenza di potenziali, rarissimi eventi avversi del vaccino di AstraZeneca dopo somministrazione a milioni di pazienti. Il rischio tromboembolico che vogliamo scongiurare, dunque, è stato osservato e si riferisce a campioni amplissimi di popolazione, ed era per questo sfuggito anche ai clinical trial su decine di migliaia di individui. E noi ora, per evitare quel rischio, ci fidiamo di dati incompleti su poche centinaia di individui, su un campione cioè in cui è impossibile verificare che non vi siano altri eventi avversi, magari in frequenza anche superiore a quelli che vorremmo scongiurare, che per la seconda dose di AstraZeneca, ricordiamo, sono dieci volte inferiori a quelli della prima dose?
Ma perché? Perché? Perché? Perché si sta seguendo una strada che potremmo imboccare con tranquillità, una volta terminata la sperimentazione clinica in corso, incamminandoci invece in anticipo al buio, nonostante disponiamo di tutte le dosi di vaccino necessarie a completare il percorso vaccinale come approvato dagli enti regolatori a suo tempo sulla base di clinical trial rigorosi? Come sarà possibile difendere, domani, il ruolo del percorso regolatorio, dei dati, dell’evidenza scientifica, se persino l’Aifa, il ministero, il Comitato tecnico scientifico e un variegato insieme di singoli ricercatori non si avvedono che ne stiamo negando l’importanza in nome dell’emotività e del supino compiacimento dei politici e dell’opinione pubblica?
E se domani, inevitabilmente, qualcuno che ha avuto la somministrazione eterologa si sentisse male, sulla base di quale evidenza scientifica prevalente, rispetto a quella disponibile per rimanere con lo stesso vaccino, giustificheremo l’imposizione di un vaccino diverso, dopo la prima dose?