L'Italia è molto indietro nel sequenziamento delle varianti
La nascita di un Consorzio, promosso dal ministero della Salute e Iss, dedicato all'analisi dei virus isolati era stata annunciata lo scorso gennaio. Ma non è ancora del tutto operativo e i finanziamenti sono insufficienti
“La variante indiana ci insegna che dobbiamo migliorare il sequenziamento, la genotipizzazione”. Così qualche giorno fa il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri faceva il punto a Sky Tg24 sull’importanza del sequenziamento delle varianti Covid anche nel nostro paese. Sotto questo aspetto, almeno sulla carta, in Italia qualcosa si è mosso da tempo ma nella realtà la nostra attività di laboratorio è esigua rispetto a quella di altri paesi europei.
Lo scorso 27 gennaio veniva infatti annunciata la nascita di un Consorzio, promosso e sostenuto dal ministero della Salute, e coordinato dall’Istituto superiore di Sanità, proprio con il compito di studiare la genetica del virus, individuare le varianti e prepararsi a future pandemie. “È possibile che alcune possano limitare la risposta del vaccino ma non minarne del tutto l’efficacia. Per affrontare la questione varianti serve una capacità di sequenziazione maggiore del virus”, spiegava il direttore generale della Prevenzione del ministero della Salute Gianni Rezza nel corso della conferenza stampa.
Parole profetiche alla luce della situazione venutasi a creare poi nel Regno Unito nei mesi successivi. Circa il 90 per cento dei casi oltremanica è infatti ormai riconducibile alla variante Delta, proveniente dall’India, molto più contagiosa della variante “inglese” oltre che più resistente ai vaccini in uso. I nuovi casi legati alla variante Delta sono cresciuti addirittura del 240 per cento nelle ultime due settimane, passando da 12.431 a 42.323 casi totali. Un campanello d’allarme che ha portato non solo allo slittamento di un mese del venir meno delle restrizioni nel Regno Unito, ma anche a una certa preoccupazione per il resto del continente europeo.
A oggi, infatti, con una campagna vaccinale già fortemente avviata, l’unica incognita che potrebbe minare il miglioramento progressivo dell’attuale situazione epidemiologica è l’eventuale comparsa di nuove varianti capaci di resistere ai vaccini. Da qui l’importanza di una loro tempestiva individuazione attraverso attività di laboratorio. Eppure, nonostante ciò, in Italia vengono sequenziati ancora pochi campioni derivati dai prelievi con tampone, quasi quindici volte in meno rispetto al Regno Unito.
Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) ha fissato un obiettivo minimo di sequenziamento pari al 5 per cento dei casi rilevati ogni giorno con i test diagnostici. Eppure, secondo gli ultimi dati pubblicati dal portale per la condivisione dei dati genomici (Gisaid), l’Italia raggiunge appena lo 0,7 per cento tenendosi ben al di sotto della soglia stabilita dall’Ecdc. Per fare un paragone, nel Regno Unito è stato esaminato circa il 9,7 per cento dei tamponi totali.
Da cosa sono giustificati questi numeri così bassi? “Il Consorzio non è partito ma la rete di laboratori è stata creata, sappiamo che si stanno aggregando e Iss sta facendo un ottimo lavoro, ma servono più fondi e mi sto battendo per raddoppiare i finanziamenti chiesti un mese fa”, ha spiegato Sileri. Se così fosse, sarebbe singolare che ci si sia accorti solo con 5 mesi di ritardo dell’insufficienza degli stanziamenti in un contesto nel quale, proprio a causa dell’emergenza sanitaria, ne sono stati elargiti a profusione nell’ultimo anno e mezzo. L’Italia non è stata capace di mettere in piedi un sistema efficiente di tracciamento dei contagiati e ormai è evidente che sta andando allo stesso modo con il tracciamento delle varianti.
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