L'intervento
Le cattive figure degli scienziati su AstraZeneca. Ci scrive Miozzo
L’ex coordinatore del Cts contro “una comunicazione scientifica disordinata e di scarso livello”. “Seconde dosi? I cittadini si aspettano precisione. L’uso dei verbi al condizionale lascia sconcertati”
Al direttore - Le scrivo perché sono decisamente sconvolto dal caos informativo generato sul tema vaccini e loro effetti collaterali. Mai nel passato si è vista una comunicazione scientifica così disordinata e di così scarso livello, sopraffatta e confusa con la comunicazione politica e con quella a uso talk-show. In Italia, purtroppo, pur avendo la presenza di un gran numero di grandi e ottimi scienziati, non abbiamo avuto la fortuna di avere un Anthony Fauci, con la sua competenza e straordinaria forza comunicativa.
Peraltro, due qualità con cui Fauci è riuscito a tener testa a un uomo come l’ex presidente Trump. Da noi è mancata una figura del genere, capace di dettare al paese, sin dall’inizio della crisi, la linea scientifica in modo deciso e indiscutibile. Il Covid-19 sin dalla sua comparsa in occidente ha avuto una difficile e complessa vita comunicativa, dovuta anche al fatto che questa è stata la prima grande emergenza planetaria vissuta in epoca di social media; quella dimensione dell’informazione che sfugge completamente al controllo delle istituzioni siano esse scientifiche che politiche e nessuno, all’interno delle istituzioni, era preparato allo tsunami comunicativo che sarebbe stato generato e governato dai social. All’inizio della pandemia gli organi ufficiali della stampa tradizionale sono riusciti a prevalere in ragione della estrema novità, dello choc provocato a livello planetario da questa tremenda e sconosciuta crisi. Poi sono sorti come i funghi i comunicatori di professione, i predicatori, i super esperti della “qualunque” che hanno spopolato sulla stampa tradizionale in parallelo a una inesauribile disponibilità di notizie circolate, incontrollate, sui social che hanno avuto comunque una ben maggiore capacità di convincimento, generando una narrazione efficace ma soprattutto difficilmente controllabile, e contestabile, dalle istituzioni. Interessanti sono i sondaggi che ci dicono che oggi la metà degli italiani si fida di alcuni esperti, ma non di altri; siamo così riusciti a creare il modello del “virologo à la carte”, cioè l’esperto che dice non quello che è scientificamente necessario e opportuno dire ma ciò che il suo pubblico si aspetta che lui dica.
Sui vaccini siamo riusciti nelle ultime settimane a raggiungere l’apice della tragedia comunicativa, con la straordinaria capacità di trasferire una mole contraddittoria di notizie ai nostri concittadini, penso agli anonimi signori Agostino e alla signora Chiara, ultrasessantenni residenti ovunque alla periferia dell’impero, ai quali il sistema si è rivolto dando per scontato che conoscessero la differenza tra un vaccino a vettore virale o uno a mRna, il significato di dose eterologa piuttosto che il significato, concreto e reale, della percentuale di 1 su centomila effetti collaterali o complicazioni. Questa straordinaria conoscenza collettiva dei segreti della medicina, che evidentemente è stata data per assodata, avrebbe dovuto consentire al popolo di seguire l’esilarante dibattito scientifico che si è consumato a suon di decisioni alternate sui numeri. A me è sembrata più che altro l’estrazione di una nuova forma di Superenalotto piuttosto che una evoluzione di conoscenze scientifiche: sopra i sessanta, sotto i cinquanta, sotto i sessanta, dai diciotto, fino ai sessantacinque, 18-60 etc.
Devo riconoscere che nelle ultime settimane si è avuta la percezione che coloro che di volta in volta erano chiamati a dare indicazioni per supportare una tesi, piuttosto che un’altra, si sforzassero di adattare le proprie convinzioni scientifiche cercando di “vestire” e quindi orientare la nuova tesi piuttosto che difendere l’indipendenza e l’autonomia del pensiero scientifico; un pensiero che, come è noto, dovrebbe essere scevro da condizionamenti di alcun tipo. Faccio infine una considerazione da “protettore civile” quale sono stato per tanti anni della mia vita professionale e che in emergenza si è abituato a un linguaggio che sia il più possibile chiaro, trasparente, deciso e scevro da interpretazioni, da allusioni e ipotesi di libera scelta lasciate al destinatario del messaggio. L’uso dei verbi al condizionale, “dovrebbe, sarebbe, potrebbe” piuttosto che l’ambiguità di un “è opportuno, è consigliabile, è suggerito” lasciano sconcertati quanti, in situazioni come quella attuale, vogliono sentirsi dire con precisione cosa devono fare; e si aspettano di sentirselo dire senza se e senza ma. Quel qualcuno che ha il dovere di comunicare, deve assumersi quindi la responsabilità delle indicazioni che devono essere date e forse qui, caro direttore, casca l’asino! Assumersi la responsabilità ahimè è il terribile dilemma che, in Italia, trova così tanti consensi soprattutto nel mondo della politica.
Se mi chiedessero cosa suggerirei di fare oggi per completare le vaccinazioni agli ultrasessantenni, immaginerei una serie di puntuali iniziative di comunicazione messa in atto dagli amministratori locali, sindaci, assessori e dai medici di famiglia, affinché siano proattivi nella ricerca e nel convincimento. Comunicazioni dedicate, pazienti, precise volte a “rieducare” sul linguaggio e sulla narrazione ormai prevalente. Una comunicazione che competa con quanto viene offerto al nostro target di popolazione dalla mattina alla sera in tv piuttosto che sui social.
Immaginando queste ipotesi di lavoro mi rendo però conto di voler leggere nel mio libro dei sogni; dopo settimane se non mesi di informazione disorientante, che muoveva dal terrorismo comunicativo alla serena superficialità del “tutto va bene”, dalla disinformazione alla infodemia più utile ad alimentare “la bestia” che a educare sul tema in oggetto, immagino che i nostri signor Agostino e la signora Chiara saranno assai poco sensibili ai richiami della politica piuttosto che del medico di famiglia. Immagino che i nostri ultrasessantenni ormai si siano fatti il loro cinema sugli effetti catastrofici di alcuni vaccini, in particolare di AZ al quale sono state imputate tutte le possibili disgrazie sanitarie degli ultimi decenni. Immagino quindi che l’unica soluzione per recuperare credibilità sul tema delle vaccinazioni, per questa popolazione di uomini e donne disorientata, sia quella di togliere di mezzo AstraZeneca e informare il nostro popolo di ultrasessantenni che riceveranno un vaccino diverso. C’è ben poco di scientifico in quello che ho appena detto, tutt’altro, c’è molto di irrazionale ed emotivo, ma la cosiddetta frittata è stata fatta e oggi sarà oltremodo difficile raggiungere coperture importanti della popolazione (soprattutto per quella ad alto rischio), e quindi effetti significativi nel controllo della diffusione virale e di generazione di varianti, se non si completa la vaccinazione per quelle centinaia di migliaia di ultrasessantenni ormai convinti che AZ sia il male assoluto.
Agostino Miozzo, ex coordinatore Comitato tecnico scientifico (Cts)
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