Al mistero dei vaccini si addice ancora una fede obbediente
Non si può spiegare tutto a tutti, spaccare il capello sierologico in quattro. C’è pur sempre l’eccezione o l’errore ma in genere tutto è concepito e fatto per il bene comune
In certi casi l’inconsapevolezza è una virtù sociale. I vaccini non devono essere obbligatori, troppa grazia, devono essere quello che sono per l’uomo comune, un mistero. Milioni e milioni di italiani e di europei e di americani e di abitanti del mondo hanno fatto la punturina contro il Covid in obbedienza a un principio di autorità: qualcuno che ha il potere di farlo gli ha detto che è opportuno vaccinarsi, che la somministrazione riduce il rischio di infettarsi, ammalarsi e magari morire per una influenza maligna che attacca le vie respiratorie e fa molti danni. I risultati si vedono. Ma continuiamo a pensare che l’obbedienza non è più una virtù, come diceva don Lorenzo Milani, e dunque io sono mio, sul mio corpo non si fanno esperimenti, chissà che cosa mi mettono nel braccio, e chissà il genetico e l’antivirale e i brand in purezza o mescolati.
Fa’ quel che devi, avvenga quel che può: è un suggerimento etico di buona fattura.
Obbedienza e dovere, rispetto per l’autorità e la competenza degli uomini di scienza, sottomissione alla sfera pubblica in nome della reciprocità e comunione di interessi individuali e privati in relazione tra loro. Il problema è che lo sguardo inquisitorio, lo spirito di ribellione, la diffidenza programmatica sono tutti atteggiamenti incrementati da certe modalità delle campagne vaccinali cosiddette, del chiacchiericcio “informativo” che producono su ogni tribuna dei media, oltre che da una sindrome di onnipotenza dell’Io postmoderno a tutti più o meno nota. Non si può spiegare tutto a tutti, spaccare il capello sierologico in quattro, imporre un piano di riflessione e di giudizio al quale l’uomo comune non è preparato. Non si può svalutare l’esperienza e la sua trasmissione sociale e generazionale con un diluvio di dati, dibattiti, una dissezione anatomopatologica e mediatica della salute collettiva, tutti chiamati a farsi medici di sé stessi, tutti in camice, tutti in corsa per il livello di expertise necessario a promuovere o bocciare un vaccino approvato da agenzie pubbliche di verifica composte da esperti e da chi ha avuto delegato per sé il responsabile potere di combattere una pandemia pericolosa per ciascuno.
Da piccolo mi fecero il Sabin contro la poliomielite e il cerchietto vaccinale dell’antivaiolo l’ho portato nel braccio come ricordo per molti anni. La vaccinazione era mistero della fede, esperienza religiosa e comunitaria, nessuno, tantomeno i miei genitori, materialisti e illuministi almeno nelle premesse ideologiche, si azzardava a sottoporre la celebrazione di un mito vivente del progresso scientifico alla funesta discussione dispiegata, generalizzata, falsamente dettagliata. Così la poliomielite e il vaiolo furono sconfitti, a quanto pare. Una piaga antica fu spazzata via da un ritrovato della modernità medica e biologica. E tutti erano contenti e felici nella diffusa inconsapevolezza, e nessuno stava a discutere, né per affermare né per negare, quale fosse il brand, che pericoli si corressero, quante possibili circostanze avverse si potessero presentare.
La civilizzazione come fatto di società non si fonda solo sulla conoscenza, è anche basata sulla credenza obbediente. L’America c’è, anche se non ci sei stato e non sapresti dimostrarlo. La Terra è tonda anche se sembra piatta e la curvatura dell’orizzonte è più un’insinuazione poetica dell’occhio che una percezione scientifica. E così via, fino all’idea che il vaccino è utile come le pillole e gli interventi chirurgici, e c’è pur sempre l’eccezione o l’errore ma in genere tutto è concepito e fatto per il bene comune dell’umanità. Senza una rigorosa fiducia gerarchica non c’è coesione e identità sociale che tengano.