l'analisi
I rischi della medicina difensiva e la colpa medica durante il Covid
Lo scudo penale introdotto in risposta alla pandemia è uno spunto utile per avviare il dibattito sul generale ripensamento della responsabilità colposa in ambito sanitario
Tra gli effetti che, sul piano giuridico, la diffusione del virus Sars-Cov2 lascia in eredità vi sono alcune soluzioni normative che – seppur temporanee – incidono su un settore assai problematico della responsabilità colposa, quello legato all’attività sanitaria. Le indagini avviate in alcune zone d’Italia per eventi avversi legati alla pandemia, anche in relazione alle vaccinazioni, hanno infatti spinto il legislatore ad affrontare una nuova emergenza nell’emergenza: evitare che medici e operatori sanitari, per mesi impegnati in prima linea in condizioni talvolta estreme, siano travolti da inchieste giudiziarie miranti a trovare colpevoli, diversi dal virus, per i decessi avvenuti durante gli ultimi mesi.
La risposta normativa si è tradotta, dapprima, nell’art. 3 del d.l. 44/2021, che ha introdotto una ipotesi di non punibilità circoscritta ai soli vaccinatori, e, quindi, nell’art. 3-bis della relativa legge di conversione (l. 76/2021), che ha allargato il campo, prevedendo una limitazione della responsabilità penale ai casi di colpa grave di tutti gli esercenti una professione sanitaria per i fatti di cui agli artt. 589 e 590 c.p. che trovino causa nella situazione di emergenza Covid, specificando che, “ai fini della valutazione del grado della colpa, il giudice tiene conto, tra i fattori che ne possono escludere la gravità, della limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-CoV-2 e sulle terapie appropriate, nonché della scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare, oltre che del minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all’emergenza”.
Preso atto della sostanziale inadeguatezza del contesto normativo esistente, il Parlamento ha così accolto l’invito a tenere conto delle difficoltà che i professionisti sanitari, trovatisi a combattere una malattia sconosciuta, per la quale le evidenze scientifiche in continuo divenire derivano per la gran parte da studi osservazionali, hanno dovuto affrontare (e stanno ancora affrontando) e a far sì che il rimprovero colposo che può essere loro mosso sia graduato sull’emergenza in cui versa il sistema sanitario; ciò per evitare che, profilandosi la preoccupazione per l’incolumità giudiziaria, possa prevalere in loro la tentazione di atteggiamenti autocautelativi, improntati a una medicina difensiva dell’emergenza, a discapito di quello slancio volontaristico che li aveva resi, all’inizio della pandemia, eroi ampiamente celebrati.
L’art. 3-bis si muove così in un campo di applicazione ben definito, funzionalmente connesso alla gestione del rischio Covid e temporalmente limitato al perdurare dello stato di emergenza (a oggi sino al 31 luglio 2021); prevede una limitazione della responsabilità penale degli operatori sanitari alle sole ipotesi di colpa grave, di qualunque matrice colposa (negligenza e imprudenza, oltre all’imperizia), e l’individuazione di indici – non esclusivi e dunque ampliabili sul piano interpretativo – in base ai quali il giudice deve operare l’accertamento del grado della colpa. La disposizione, applicabile pure ai fatti commessi, sempre nel periodo emergenziale, prima dell’entrata in vigore del decreto, copre anche eventi relativi a patologie non-Covid correlate, purché causate o aggravate dall’abbassamento dei livelli assistenziali in ragione del carattere prioritario accordato al contrasto al virus.
Più che di scudo penale (termine che lascia trasparire l’idea di un privilegio a tutela di colpevoli altrimenti indifendibili) è allora preferibile parlare di una norma di buon senso e garanzia, a tutela di chi sta operando, in condizioni critiche, a salvaguardia della salute pubblica. L’intervento, diretto a calibrare la straordinarietà dell’impegno dei medici e la caratura dei rischi affrontati, trova giustificazione, sul piano della ragionevolezza, nelle peculiarità del contesto. Finita l’emergenza, se ne potrà trarre utile spunto per riavviare il dibattito sul generale ripensamento della responsabilità colposa in ambito sanitario, riflettendo sulla stabilizzazione di una clausola definitoria di colpa grave che tenga conto, tra l’altro, dei fattori contestuali e sui confini applicativi della non punibilità di cui all’art. 590-sexies c.p. oltre gli angusti spazi della sola imperizia lieve nella fase esecutiva.
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