Il Foglio salute
Nella gara a incolpare i responsabili del Covid la politica danneggia la ricerca
E’ in corso una nuova Guerra Fredda in cui è diventato fondamentale, a livello politico, trovare la responsabilità del virus
Il 2020 ha sancito l’inizio dell’era della geopolitica sanitaria. Dalla semplice geopolitica, che vede come centrale i temi delle relazioni internazionali e della politica estera, si è passati alla geoeconomia, in conseguenza della preponderante influenza del mercato nella nostra realtà. Ora, con lo scoppio della pandemia, in grado di fermare il mondo globale e il suo incessante progresso, il tema sanitario risulta di primo interesse nelle agende politiche internazionali.
Da un lato, questo slancio senza precedenti nell’era moderna sottolinea la necessarietà della ricerca e sviluppo e le sue attuali criticità. D’altro canto però, la sanità, e specialmente la ricerca, sono sensibili a un’elevata politicizzazione a livello nazionale e internazionale. L’elemento politico può portare con sé delle risultanti, sia positive che negative. Si pensi allo sforzo congiunto e multilaterale intrapreso da diversi governi nella corsa al vaccino. Allo stesso tempo, alcune realtà nazionali sono state automaticamente estromesse dall’impegno sulla base della propria ideologia politica.
Sebbene spesso si parli di salute globale, è evidente come siano presenti delle intense spaccature di natura politica che hanno creato tre diversi assi geo-sanitari. Di questi, solo due sono influenti: da un lato si annovera la linea atlantista, dall’altra si ha quelle potenze politiche estromesse, o non allineate al Patto. La terza figura è rappresentata dal resto del mondo che, al momento non può contare in questa corsa. Parliamo dei paesi in via di sviluppo o del terzo mondo. Questi hanno un carattere passivo, sono costretti a dipendere dalle decisioni dei primi due assi. Allo stesso tempo, i due poli presentano spaccature interne che indeboliscono lo sforzo nella ricerca e allungano i tempi della salute globale. Questo è il caso di alcuni stati membri dell’Unione che, decidendo di operare un piano vaccinale indipendente, sono andati ad inficiare sull’efficacia dello sforzo congiunto, indebolendolo e screditandolo.
Nonostante questa frammentarietà ideologica e operativa, si parla di questo periodo storico come di una Seconda Guerra Fredda. Se all’inizio la battaglia poteva essere rappresentata dalla corsa al primato globale nella cura, ora la disputa assume maggiormente le caratteristiche del periodo della cortina di ferro. E’ diventato di fatto fondamentale, a livello politico, trovare la responsabilità del virus, in maniera da indirizzare ad uno specifico paese le “spese di guerra”. Questa presunta necessità viene nutrita e mantenuta viva dai correnti studi e dalla ricerca. Questi però hanno una diversa finalità: i recenti follow-up studies hanno lo scopo di approfondire la conoscenza sul virus per elaborare una risposta pronta ed efficace in termine di salute globale.
Recentemente diverse notizie di portata mondiale hanno posto nuovi dubbi sulla responsabilità, volontaria o non, cinese riguardo la pandemia. Partendo dal video diffuso da Sky News Australia, che di scientifico ha ben poco, si è passati a dare nuova considerazione al controverso studio pubblicato da Nature nel 2015, conducendo una trace back analysis. Si sono aggiunti, infine, il paper pubblicato su PLOS Pathogens Journal, e condotto da ricercatori dell’Università di Kent, oltre alla ricerca condotta da Jesse Bloom, virologo del Fred Hutchinson Cancer Research Center.
Escludendo il video, in tutti e tre i restanti casi si parla di nuovi step nella fase di ricerca follow-up. Data l’enorme portata politica del caso, ogni notizia circa le parziali scoperte ha subìto un’esagerata cassa di risonanza, dove spesso la notizia viene riportata come assodata, completa ed esaustiva per portare a termine l’intero processo di ricerca. Come spesso però si è visto in questo ultimo anno, ogni fase della ricerca e, di conseguenza, ogni nuova e parziale scoperta, è soggetta ad un sensibile margine di errore. L’enorme carico politico che viene associato a queste attività di follow-up danneggia l’attuale attività di ricerca, rischiando di portare fuori strada la popolazione globale, o meglio i pazienti di tutto il mondo.
Facendo chiarezza, lo studio di Nature riportava nel 2015: “Il virus di pipistrello ingegnerizzato che suscita il dibattito su una ricerca rischiosa”. Nel report si investiga sulla possibile creazione di un virus derivante dai pipistrelli horseshoe. Si suppone che il contributo ingegneristico si realizzi nell’ibridazione di una proteina spike con la base virale della SARS sviluppata nelle cavie. La ricerca, vista sempre come ipotesi, è diventata uno dei principali indizi accusatori già a inizio 2020, dopo aver eliminato l’ipotesi dello spillover tra pipistrello e pangolino.
Per quanto riguarda le due attività di ricerca: l’Università di Kent ha ipotizzato, che il virus abbia potuto proliferare già da Ottobre 2019, espandendosi a livello globale a Gennaio 2020, mentre lo studio di Bloom è riuscito a risalire a 13 sequenze, precedentemente scomparse sul cloud digitale, dei primi casi di Sars-CoV-2 localizzati a Wuhan.
Nel primo caso, l’enfasi è parzialmente giustificata perché lo studio conferma un precedente joint paper emesso da Cina e Oms, riguardante la possibilità di sporadici casi di contagio prima dei focolai di Wuhan. Nel secondo studio, si deve porre maggiore attenzione: il ritrovamento di 13 delle 200 sequenze genetiche originarie pone un grosso passo avanti nella ricerca e nella conoscenza scientifica, permettendoci una migliore reazione al virus. Rispetto a questo aspetto, la divulgazione politica si è maggiormente concentrata sulla motivazione che ha portato alla cancellazione delle sequenze. L’insieme di questi elementi possono rappresentare delle “pistole fumanti”, che però mancano ancora di antitesi necessarie a fornire la fondatezza della tesi che vede al centro delle responsabilità Pechino. Fino a quel momento, la politica dovrà lasciare la prima linea alla scienza.
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