Cattivi scienziati
Punto d'arrivo anti Covid: vaccini per prevenire, farmaci per curare
Due tipologie di medicinali in particolare hanno un potenziale altamente efficace: se l'ultima fase della sperimentazione avrà successo (fine 2021-inizio 2022), si tratterà di un ulteriore step verso la normalità
A che punto è la ricerca di farmaci sul Covid-19? È chiaro che, in questo periodo, i vaccini hanno dominato la scena: la rapidità con cui sono stati ottenuti e il successo che alcuni di essi hanno ottenuto del resto non poteva che polarizzare l’attenzione di tutti. Tuttavia, non bisogna dimenticare quali sono i punti deboli della profilassi vaccinale nel contrasto ad un virus.
Innanzitutto, come ormai i lettori di questo giornale hanno ben presente, la mutazione e l’adattamento del virus, in modo da superare l’ostacolo costituito dalla nostra risposta immune, sono inevitabili, tanto più se lasciamo amplissime fette della popolazione vaccinale senza vaccino. In quelle popolazioni emergeranno moltissime nuove varianti casuali, fra le quali saranno poi selezionate dalle popolazioni vaccinate quelle maggiormente in grado di superare la barriera immunitaria. È un processo inevitabile, che vede come unico limite la capacità del virus di mutare senza danno e la capacità dei vaccini di colpire regioni del virus meno soggette a mutazione.
In questo quadro, i farmaci sono un ausilio quanto mai utile: sia perché, inevitabilmente, vi saranno sempre dei malati di COVID-19, a meno che il virus non scompaia per cause stocastiche, sia perché alcuni tipi di farmaci in sviluppo potrebbero avere uno spettro di azione così ampio, da riuscire a superare la capacità del virus di rispondere attraverso la mutazione.
Ma quali sono i farmaci in sviluppo che più di altri potrebbero superare il problema dell’emersione di nuove varianti? Innanzitutto, esistono farmaci in sviluppo che hanno come bersaglio alcune porzioni di diverse molecole del virus, le quali molto difficilmente possono essere soggette a mutazione. Per esempio, in un lavoro recentemente pubblicato su Science sono stati illustrati i risultati dell’utilizzo di alcuni composti in grado di colpire dei centri ferro-zolfo di nuova identificazione presenti nella polimerasi di Sars-CoV-2, bloccando così la replicazione del virus. Se composti come questi arrivassero in clinica, è presumibile che il virus potrebbe mutare ben poco per evaderne l’azione, perché i requisiti necessari a mantenere integri i centri ferro-zolfo della polimerasi, vitali per il virus, impongono forti limiti alla possibilità di mutazione di quelle porzioni di proteina.
Oltre a farmaci disegnati per colpire questi o altri bersagli a bassa mutabilità del virus (e per la verità di molti coronavirus, non solo questo), vi è poi una seconda interessante possibilità, che è in discussione fra gli specialisti: quella di utilizzare farmaci che modulino l’attività di proteine umane, indispensabili al ciclo vitale del virus. Queste proteine, ovviamente, non mutano, per cui farmaci che siano in grado di modificarne il funzionamento in maniera sfavorevole al virus, senza produrre effetti secondari troppo importanti nell’uomo, avrebbero il vantaggio di essere molto difficilmente aggirabili dal virus – che dovrebbe adattare la propria biologia replicativa, non semplicemente mutare la propria sequenza.
Esistono almeno 66 proteine umane che possono essere bersaglio di farmaci che ne modifichino l’attività, così da sfavorire Sars-CoV-2; per alcune di queste, tra cui per esempio la proteasi Tmprss2 o i recettori nucleari degli estrogeni, si è arrivati ormai in sviluppo clinico, con lo svolgimento di trial clinici anche nel nostro paese. Quando anche una sola delle piccole molecole in sviluppo clinico anche avanzato arriverà alla fine della fase III con successo (il che potrebbe avvenire tra la fine di questo e l’inizio del prossimo anno), allora avremo fatto un passo fondamentale verso la “normalizzazione” del nostro rapporto con Covid-19: una malattia che, oltre che prevenibile con vaccini da adattare all’inseguimento dei mutanti, dovrà divenire anche curabile.
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