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Green pass per andare al bar come in Francia? Il governo ci pensa
Al ministero della Salute sono in corso valutazioni sul modello francese. Ma grava l'incognita privacy. "Il pass non dovrebbe rappresentare un titolo legittimante all’accesso a luoghi in cui si esercitano diritti fondamentali" ci dice Scorza (Garante per la protezione dei dati personali)
Green pass Italia: adesso il governo ci pensa
Dopo l’annuncio di Macron ieri sera, ora anche l’Italia potrebbe valutare l’utilizzo del green pass non solo per gli spostamenti ma anche per tutte le attività ricreative e culturali, dall’accesso ai ristoranti e bar fino a quello agli stadi e cinema. La misura è stata già promossa e suggerita al ministero della Salute dal consigliere di Speranza, Walter Ricciardi. E, dalle parti di Lungotevere Ripa fanno sapere che “sono in corso valutazioni complessive su tutti gli aspetti di controllo della pandemia, e l’utilizzo del green pass è uno di questi”.
Ma facciamo un passo indietro per capire il perché di questa possibile decisione. Nell’ultima settimana in Italia si sono registrati 7.972 nuovi casi, con una crescita del 51,5% rispetto ai 7 giorni precedenti (28 giugno – 4 luglio) dove erano stati 5.260. Al momento, fortunatamente, l’incremento dei casi non ha avuto effetti sulle ospedalizzazioni. Se guardiamo però al Regno Unito riusciamo a comprendere meglio le dinamiche di quello che si potrebbe verificare anche da noi tra un paio di settimane. Oltremanica i casi giornalieri hanno già superato quota 40 mila. Il dato sul quale è necessario porre maggiore attenzione è quello relativo alle ospedalizzazioni causate dal Covid. Queste, solo nell’ultima settimana, hanno fatto segnare un incremento del 56,6%. Il numero dei decessi resta limitato, anche se in crescita: ieri ne sono stati registrati 50, record da aprile, ma ciò dimostra comunque il funzionamento dei vaccini che riescono ad arginare il dilagare della variante Delta. C’è infine da considerare che nel Regno Unito si è già raggiunta una quota del 66,2% della popolazione che completato il ciclo vaccinale.
Percentuale ben più elevata di quella registrata al momento in Italia dove, con il crescere dei contagi, dopo diverse settimane con l’intero paese in zona bianca tornano a rischio zona gialla quattro regioni alla luce degli attuali parametri: Abruzzo, Campania, Marche e Sicilia. Da qui il pressing delle regioni per una revisione degli attuali parametri e la possibile riunione di un tavolo tecnico al ministero della Salute tra la fine di questa e l’inizio della prossima settimana per valutare la questione. Il cambiamento della situazione epidemiologica con il diffondersi della variante delta e, soprattutto, l’incremento del numero dei vaccinati oltre alla piena operatività del green pass, rappresentano elementi di novità che andrebbero considerati per la classificazione di rischio delle regioni.
Tra le ipotesi in campo c’è la possibile estensione del ‘limite’ per la zona bianca dagli attuali 50 a 150 casi ogni 100 mila abitanti in modo da evitare l’introduzione di nuove restrizioni durante il periodo estivo. Questa decisione potrebbe trovare appunto come ‘contrappeso’ un utilizzo più vincolante del green pass anche in Italia. Ma quali problematiche potremmo riscontrare sotto il profilo della privacy introducendo una misura di questo tipo?
Green pass: "Basso impatto privacy se le regole sono rispettate", dice Scorza (Garante protezione dati personali)
“ll green pass è ormai a basso impatto privacy se le regole sono rispettate - dice al Foglio Guido Scorza, componente del collegio del Garante per la protezione dei dati personali -. Noi abbiamo già indicato al governo, in sede di parere sul dpcm di attuazione del decreto legge sulle certificazioni verdi, la necessità di una legge nazionale. Il tema non può essere lasciato alle singole regioni, né a provvedimenti amministrativi secondari o a strumenti di soft law come linee guida. Deve poi essere considerato il fatto che non tutti possono vaccinarsi, pur volendo, e l’accesso ai tamponi rappresenta comunque un costo”.
“Per evitare discriminazioni - prosegue Scorza - il green pass non dovrebbe rappresentare un titolo legittimante all’accesso a luoghi in cui si esercitano diritti fondamentali, come ad esempio le chiese, né a luoghi soggetti a frequentazione quotidiana. Perché un conto è l’accesso al grande evento con migliaia di spettatori come può essere una finale allo stadio, altro è dover sostenere un costo di 20-30 euro per un tampone per poter magari entrare in un bar a consumare 1 o 2 euro di caffè”.
“L’intero sistema della certificazione verde si regge sul fatto che in sede di controllo sia utilizzata l’app di verifica del governo. Quel Qr code dà una risposta di tipo binaria certificando che il cittadino si trova in una delle tre condizioni previste. Ma se si dovessero utilizzare app terze, e se i verificatori diventassero molti di più allargando la platea a tutti i ristoratori, gestori di bar e così via, c’è il rischio che si possa accedere a più informazioni e magari conservarle per altre finalità”, conclude Scorza.
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