La Costituzione non impedisce il Green pass sul lavoro, anzi
Non può esserci lavoro dove non ci sono garanzie per la sicurezza e la salute dei lavoratori: la riserva di legge in materia è più che giustificata. Ma da che parte stanno i sindacati?
Col procedere della campagna vaccinale si è acceso il dibattito sull’idea, approvata dal governo, di subordinare l’accesso a determinate attività o servizi al possesso del Green pass. Al di là della principale funzione di contrasto alla circolazione del virus in luoghi dove il contatto sociale è inevitabile, non può sfuggire che la richiesta del certificato vaccinale ha anche lo scopo di spingere gli indecisi a sottoporsi alla immunizzazione. Non poter prendere un caffè al bar o non potersi sedere al ristorante, così come non poter assistere a un concerto o visitare un museo, possono essere considerate limitazioni molto fastidiose. Ma la questione assumerebbe uno specifico e ben più rilevante peso se il certificato di immunizzazione diventasse condizione necessaria per accedere ai luoghi di lavoro.
In gioco, infatti, c’è la possibilità stessa di lavorare, che non è una scelta rinunciabile come una serata in discoteca. Occorre perciò mettere un po’ di ordine tra i tanti principi di rango costituzionale che sono implicati in questa complessa vicenda. Il lavoro è un diritto-dovere, come stabilisce la nostra Costituzione, secondo la quale (art. 4) “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”, aggiungendo che “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. E’, dunque, a partire da questi presupposti che si deve valutare la scelta di imporre un obbligo vaccinale come condizione di accesso al lavoro. Lo stato ha l’obbligo di fare tutto ciò che è possibile per promuovere il diritto-dovere al lavoro alla luce di un dato fondamentale dato di fatto e non può ignorare il fatto che la diffusione del virus Sars-cov-2 preclude l’effettivo esercizio del diritto al lavoro. Perché non può esserci lavoro dove non ci sono garanzie per la sicurezza e la salute dei lavoratori.
Non è un caso se al principio generale sancito dall’articolo 32 della Costituzione, secondo cui la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, si aggiunge lo specifico obbligo per le imprese – previsto dall’art. 2087 del codice civile – di adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Ricordiamo che, proprio per garantire la sicurezza dei luoghi di lavoro, le parti sociali, nell’aprile 2020, hanno condiviso una serie di misure atte a fronteggiare l’imprevista emergenza sanitaria che stava portando il nostro paese alla paralisi delle attività produttive. Del resto, le battaglie per la sicurezza del lavoro sono sempre state al centro dell’azione sindacale, sin dalle sue origini. Distanziamento sociale, dispositivi individuali di protezione, sanificazione ambientale, lavoro da remoto ove possibile, sono state le armi che imprese e sindacati hanno dispiegato nella drammatica prima fase della pandemia per garantire la massima sicurezza possibile dei lavoratori.
Ma la disponibilità dei vaccini e la loro ormai comprovata efficacia nella prevenzione del rischio per la salute legato al Covid non lascia spazio a dubbi sulla correlazione tra immunizzazione di massa e sicurezza del lavoro. Stando così le cose, l’unico ostacolo che si frappone alla possibilità di imporre il Green pass per l’accesso ai luoghi di lavoro è la mancanza di una specifica legge che lo preveda. E’, infatti, sempre l’articolo 32 della Costituzione a stabilire che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non in forza di una disposizione di legge. E non v’è dubbio che subordinare alla vaccinazione la possibilità di accedere al lavoro equivarrebbe a introdurre, sia pure indirettamente, un obbligo a sottoporsi a un trattamento sanitario. Perciò è necessario che intervenga il legislatore. La riserva di legge in questa materia è più che giustificata. Nell’imporre terapie, di qualunque natura esse siano, si deve procedere con grande cautela e valutare con attenzione e sulla base di dati oggettivi i costi e i benefici che queste comportano, tanto per il singolo quanto per la collettività. Con riguardo al Covid, la perdita di vite umane e i costi sin qui accumulati in termini di occupazione giustificherebbero pienamente la legittimità costituzionale di una norma che imponesse la certificazione vaccinale a tutti i lavoratori che, per la natura e le modalità del loro lavoro, possano diventare veicolo di contagio verso altri lavoratori. Naturalmente una cosa è la legittimità costituzionale di una norma, altra cosa è la valutazione dell’opportunità politica di legiferare. Ma la politica non accampi scuse di natura giuridica se deciderà di non intervenire.
Maurizio Del Conte
Università Bocconi
Trattamenti farmacologici
Anche l'Italia si sveglia e frena sull'uso dei bloccanti della pubertà
Rapporti alla mano /22