Cattivi scienziati
Negare il vaccino ai ragazzini è sbagliato
Per i 12-16enni il rapporto costi-benefici è meno favorevole, ma pur sempre favorevole
I vaccini in uso oggi in Italia sono stati inizialmente approvati per l’uso da 16 anni in su. A questo punto, considerato lo stato di avanzamento della vaccinazione della popolazione adulta (e particolarmente delle più fragili fasce di età avanzata), una domanda che ritorna sempre più frequentemente, anche nella mia stessa famiglia, è la seguente: ma i bambini vanno vaccinati? Molto spesso, questa domanda suscita risposte emotive inappropriate: da chi, come con i primi vaccini contro il vaiolo, vuol difendere l’inviolabilità del corpo dei bambini, fino a chi reputa addirittura priva di senso la discussione, e vaccinerebbe anche i neonati, in modo da aumentare la sicurezza di tutti. Questa discussione è non solo emotivamente carica e divisiva, ma per di più può poggiare su pochi dati disponibili; tuttavia, questi dati bisogna conoscerli, prima di lasciarsi prendere dalla vis polemica.
Un primo argomento, probabilmente quello principale, contro la vaccinazione estesa fino a 12 anni di età (al di sotto non esistono ancora dati), è che, nonostante l'esistenza di vaccini sicuri ed efficaci, il rapporto costi-benefici della vaccinazione contro il Covid-19 è meno vantaggioso per i bambini, perché questi hanno meno probabilità di essere gravemente danneggiati dall'infezione da Covid-19. Inoltre, si sostiene, poiché abbiamo una conoscenza limitata degli effetti collaterali nei bambini, dovremmo ritardare la loro vaccinazione.
Ma questo argomento è sbagliato. Le principali autorità mediche hanno giudicato i vaccini Covid-19 sicuri ed efficaci per i bambini, approvandoli per l'uso nei bambini dai 12 anni in su, proprio a causa del favorevole rapporto costi benefici; un rapporto meno favorevole (soprattutto per la riduzione dei benefici) rispetto agli adulti, ma pure sempre favorevole. Sebbene infatti gli effetti gravi dell’infezione sono considerevolmente meno comuni nei bambini, dopo milioni di vaccinazioni di bambini gli effetti collaterali della vaccinazione sono estremamente rari, e il rischio costituito dal virus circolante è comunque di gran lunga maggiore. I bambini possono essere gravemente colpiti dall'infezione da Covid-19: possono o possono sviluppare una sindrome Covid lunga o infiammatoria multisistemica. Oggi inoltre sappiamo anche che le persone con infezione lieve o asintomatica, come è frequentissimamente il caso nei bambini, possono comunque sviluppare complicazioni di salute a lungo termine. Per queste ragioni, l’Ema, pur riconoscendo che i dati disponibili derivano da trial di dimensione limitata (qualche migliaio di bambini), scrive che ha autorizzato il vaccino di Pfizer dai 12 anni in su e scrive che “nonostante queste incertezze, il Chmp ha ritenuto che i benefici di Comirnaty nei bambini di età compresa tra 12 e 15 anni siano superiori ai rischi”. Per le stesse ragioni e allo stesso modo, il Cdc americano raccomanda attualmente che “tutti coloro di 12 anni di età o maggiori siano vaccinati per proteggersi da Covid-19”.
Un secondo argomento per ritardare la vaccinazione dei bambini è quello che, vista la larghissima prevalenza di adulti non vaccinati nella maggioranza dei paesi del mondo e considerata la limitata disponibilità di dosi, bisognerebbe dare priorità alle fasce adulte in tutto il mondo, prima di passare ai bambini. Anche questo argomento, però, non sembra corretto, e appare piuttosto come un diversivo: di fatto, le dosi sono state acquistate in ogni paese separatamente, e non è evitando di vaccinare i bambini che quelle dosi raggiungeranno altri paesi.
Vi è poi un terzo, decisivo argomento per la vaccinazione dei bambini, a seguito della recente approvazione delle autorità sanitarie: come sottolineato in un recente articolo da Stanley Plotkin, autorità nel settore, siccome l’immunità degli adulti, che sono più a rischio) decresce nel tempo, fino a richiedere probabilmente un richiamo, mantenere una riserva di virus nei bambini rischia di esporre durante un periodo di debolezza la popolazione adulta; questo anche senza contare i non-responder. In questo scenario, mantenendosi una sacca di popolazione non vaccinata (i bambini) perennemente a contatto con una a rischio (gli adulti a immunità decresciuta e i non-responder), avremmo danni da trasmissione continua, dovuti a questa sacca.
Ora, è facile notare come quanto presentato costituisca sostanzialmente evidenza circostanziale. Purtuttavia, come adulti, bisogna porsi una domanda: se le prove di cui ad oggi disponiamo indicano che un bambino dai 12 anni in su rischia di più a non vaccinarsi (anche se si tratta di rischi piccoli), come sostenuto dalle autorità sanitarie, possiamo negargli il vaccino? Nella mia famiglia, la risposta è stata: no.
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