Cattivi scienziati
Immunità ibrida
Che dicono gli studi su chi si è infettato col Covid e poi si è sottoposto a vaccinazione
La disponibilità di dati e la miriade di studi che sono condotti su Sars-CoV-2 permette di continuare a imparare, o di esplorare meglio concetti che precedentemente erano peggio definiti. Oggi vorrei illustrare al lettore ciò che stiamo imparando sulla cosiddetta “immunità ibrida”, vale a dire sull’immunità conferita dall’infezione naturale, cui sia fatta seguire la vaccinazione con almeno una dose. Il gruppo del dott. Nussenzweig, di New York, ha pubblicato in merito un interessantissimo articolo su Nature, di cui passo di seguito a elencare i risultati più importanti.
Innanzitutto, si è stabilito che l’immunità conferita da una precedente infezione ha una durata di almeno un anno, almeno contro le varianti con cui ci si è infettati. Nel lavoro citato, dopo 12 mesi i partecipanti che non erano stati vaccinati hanno mantenuto la maggior parte dei loro anticorpi plasmatici contro il dominio di legame del recettore del virus (Rbd) e il loro plasma ha avuto un’attività neutralizzante simile a quello che li aveva infettati originariamente. Le loro cellule B di memoria in grado di produrre anticorpi anti Rbd erano solo leggermente calate rispetto a sei mesi prima e si erano evolute per produrre una gamma più ampia e più potente di anticorpi. Tuttavia, il loro plasma aveva una minore attività neutralizzante contro le varianti B.1.1.7 (alfa), B.1.351 (beta), B.1.526 (iota) e P.1 (gamma), con la maggiore perdita di attività contro la variante beta.
Rispetto ai partecipanti non vaccinati, coloro che dopo l’infezione naturale avevano ricevuto almeno una dose avevano anticorpi anti Rbd plasmatici più elevati e un aumento di quasi 50 volte dell’attività neutralizzante. Secondo Nussenzweig e colleghi, la vaccinazione aumenta gli anticorpi dovuti alla memoria sviluppata dopo l’infezione, producendo una “risposta eccezionale”. Fra gli infettati poi vaccinati con una singola dose, i livelli di anticorpi neutralizzanti contro le varianti testate hanno superato i livelli osservati in individui infetti ma non vaccinati, ma anche i livelli degli anticorpi prodotti da individui completamente vaccinati, ma mai infettati dal virus.
Quest’ultima osservazione è supportata da altri studi. Due gruppi di ricerca, in Nord America e nel Regno Unito, hanno recentemente pubblicato studi su Science che dimostrano come una singola dose di un vaccino mRNA migliora sostanzialmente la risposta immunitaria alle varianti Sars-CoV-2 tra i pazienti con una precedente infezione. La combinazione di infezione e vaccinazione, da questi dati, appare conferire una protezione maggiore rispetto a ogni altra possibilità, un fatto che fa leva sul fenomeno battezzato “immunità ibrida”. Questa immunità ibrida non è solo più potente: come già lo studio di Nussenzweig sembrava suggerire, esistono dati preliminari che essa sia anche più efficace contro molteplici varianti. In particolare, è interessante uno studio non ancora sottoposto a revisione, in cui si è utilizzato un virus chimerico, come l’adenovirus dei vaccini a vettore virale, su cui è stata montata una versione della proteina spike che portava ben 20 mutazioni emerse in natura o selezionate in laboratorio, di cui si sa che conferiscono immunoevasività. Ebbene, questo virus chimerico è risultato essere in grado, come atteso, di evadere la neutralizzazione anticorpale da parte della maggior parte dei sieri di soggetti convalescenti e anche da parte di una frazione ampia dei sieri di soggetti vaccinati con vaccino a mRna; invece, i sieri di soggetti infettatisi naturalmente, i quali avevano poi ricevuto una dose di vaccino a Rna, sono risultati ancora in grado di neutralizzare il virus chimerico efficientemente, così come anche altri coronavirus.
L’immunità ibrida, in altre parole, sembra molto più ampia e sembra oltretutto maturare e potenziarsi nel tempo, proteggendo più dei vaccini basati sulla singola proteina spike, che a loro volta paiono proteggere meglio della sola immunità da infezione naturale. Se è così, e se i dati di questi primi lavori saranno confermati, i vaccini di nuova generazione basati sullo sviluppo di questo concetto (per esempio attraverso la vaccinazione eterologa con un virus attenuato e poi con un mRna) potrebbero essere protettivi anche verso future varianti, peggiori di quelle attualmente in circolazione. Intanto, le notizie che arrivano dovrebbero rassicurare chi si è infettato e indicano il gran vantaggio che anche una sola dose di vaccino può conferire a questi soggetti, rispetto al fidarsi della sola immunità dovuta all’infezione pregressa.