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cattivi scienziati

Contro l'infezione e i sintomi della Delta i vaccini restano l'arma più efficace

Enrico Bucci

La doppia dose induce una risposta immunitaria robusta contro le attuali varianti. Contrarre il virus da un asintomatico è meno grave. Ora ci sono gli studi

La barriera offerta dalla vaccinazione alla circolazione del virus Sars-CoV-2 è uno dei più importanti parametri che devono essere presi in considerazione, quando si decida di implementare politiche di contenimento della pandemia che discriminino tra vaccinati e non vaccinati. Questo parametro, tuttavia, non è statico, ma cambia con l’emergere di varianti nuove, soprattutto quando queste mostrano di poter infettare anche individui vaccinati ed essere trasmesse da questi ad altri individui.

 

Siccome l’emersione continua di nuove varianti è inevitabile, come mostra l’avvento prima della cosiddetta variante Alfa e poi della Delta a livello globale, è bene continuamente aggiornare i dati circa l’efficacia dei vaccini disponibili riguardo la capacità di proteggere dall’infezione, la capacità di abbassare la trasmissibilità del virus e la durata di questi effetti, che sono gli elementi fondamentali perché un vaccino abbia impatto epidemiologico, e non solo clinico. Dunque vale la pena di rifare l’inventario aggiornato di ciò che oggi è noto riguardo questi due parametri per quanto riguarda la variante che, per quel che ne sappiamo al momento, ha la fitness maggiore tra quelle sin qui emerse.

 

Cominciamo dal primo dei parametri elencati, la capacità dei vaccini di difendere dalle infezioni da parte della variante Delta. Innanzitutto, vi è una nuova conferma di un fatto preliminare: due dosi di vaccino inducono una risposta immunitaria robusta anche contro le attuali varianti del virus, come documentato in uno studio pubblicato il 17 agosto su Nature; se si va a guardare nei dettagli, in particolare, si vede che la risposta in termini di anticorpi neutralizzanti diminuisce con le varianti più recenti, ma la risposta cellulare di tipo T rimane intatta. Questo fatto può giustificare come con varianti come la Delta, la protezione dagli effetti clinici rimane intatta, ma non la protezione dall’infezione, che diminuisce. Diminuisce, badate bene, ma non si azzera: che sia così è confermato da uno studio portoghese su oltre 2000 infezioni, per ora in fase di preprint, che mostra come i casi di infezione nei vaccinati con vaccini a Rna, dopo aggiustamento per una serie di potenziali fattori confondenti (tra cui le frequenze di vaccinati e non vaccinati nella popolazione), sono maggiori nel caso della variante Delta rispetto alla Alfa, ma comunque molto maggiori fra i non vaccinati; il tutto correlato a una carica virale nei vaccinati maggiore nel caso di infezione da Delta rispetto alla Alfa, ma mediamente minore comunque nei vaccinati rispetto ai non vaccinati.

 

Anche se l’immunità dovuta ad anticorpi circolanti decade dopo la vaccinazione, e dunque la probabilità di infettarsi per i vaccinati può aumentare allontanandosi dalla data della vaccinazione (come sembrano confermare i dati di Israele), in realtà la capacità di produrre questi anticorpi, cioè la memoria immunitaria di tipo B, in realtà non decade così rapidamente: le cellule di memoria B non solo aumentano continuamente per almeno 6 mesi dalla vaccinazione nei soggetti vaccinati, ma hanno anche la capacità di generare anticorpi contro tutte le varianti conosciute, inclusa la Delta, e possono quindi spiegare ancora una volta come, nonostante possano infettarsi, i soggetti vaccinati restano clinicamente molto protetti anche quando non hanno più anticorpi circolanti.

 

Questi dati, riguardanti memoria B e memoria T, aiutano a inquadrare un ulteriore, cruciale risultato, ottenuto a Singapore: in questo caso, su un’ampia coorte di individui vaccinati e non vaccinati si è seguita l’evoluzione della carica virale nel tempo, e si è visto che sebbene la carica massima raggiunta nelle due coorti sia la stessa, in realtà nei vaccinati essa decade molto più rapidamente, coerentemente con l’attivazione di una pronta risposta immunitaria specifica nei vaccinati, e coerentemente con il fatto che, sebbene i vaccinati infettati possano avere lo stesso livello di virus degli altri, in media (se si campiona a caso dopo l’infezione) essi ne hanno di meno. Dato pienamente confermato, questo, da uno studio inglese su oltre 100.000 persone ricordato da Nature, in cui è risultato che in media i soggetti vaccinati, se si infettano anche con la Delta, presentano una carica virale ridotta rispetto anche ai non vaccinati, purché non si campionino solo i sintomatici, ma chiunque si infetti con la Delta (nello studio inglese le 100.000 persone sono state esaminate per la presenza del virus a intervalli regolari, che avessero o meno sintomi).

 

Mettendo tutto insieme: la probabilità di infettarsi con la Delta una volta vaccinati è più bassa rispetto ai non vaccinati, ma questa differenza diminuisce allontanandosi dalla data di vaccinazione, rendendo conto della diffusione del virus in Israele e rendendo anche conto dell’effetto recentemente dimostrato di una terza dose nel prevenire le nuove infezioni; la carica virale media nei vaccinati sembra essere comunque minore eccetto che per un breve periodo di pochi giorni, che probabilmente è necessario per la riattivazione della memoria immune; questo ultimo dato indica una probabile ridotta capacità di trasmissione, visto che essa è massima durante il massimo della carica virale.
Infine, vi è uno studio svolto in Cina, appena pubblicato, che è pure interessante: in esso si mostra ancora una volta che la trasmissibilità del virus è massima due giorni prima dei sintomi e tre dopo i sintomi, in corrispondenza del massimo di carica virale nel naso, ma soprattutto per la prima volta che le infezioni a partire da individui asintomatici tendono ad essere molto meno gravi, così che essere venuti a contatto con un individuo asintomatico è clinicamente meno rischioso che essere venuti a contatto con uno sintomatico.

 

A questo punto, se è vero che i vaccini diminuiscono la probabilità di sviluppo dei sintomi, e soprattutto di sintomi gravi, è chiaro che non solo i vaccinati proteggono gli altri dall’infezione, perché trasmettono di meno, ma proteggono anche gli altri, e non solo sé stessi, da infezioni gravi, dato che tendono a essere meno frequentemente afflitti da sintomi e da sintomi gravi. Questi sono i dati disponibili a oggi per la Delta; vorrei rendere in conclusione ben chiaro un concetto. A evolvere sarà non solo la nostra conoscenza, per cui molti dei dati e dei preprint citati potrebbero venir contraddetti, ma anche il virus, per cui bisognerà rideterminare continuamente i parametri citati, e certamente si troverà prima o poi un virus in grado di evadere totalmente i nostri vaccini, se lo lasceremo circolare a sufficienza. Come scrivevo ieri, dobbiamo abituarci all’idea di adattare la nostra risposta, almeno alla velocità con cui il virus si adatta ad essa; questo è possibile e auspicabile, rispetto a decidere di non far nulla, aspettando che il virus stermini una quota di popolazione, generi immunità naturale e quindi muti per ricominciare il ciclo.

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