Green pass, c'era una volta il sindacato

Luciano Capone

Perché la posizione sui vaccini dei grandi vecchi del sindacato (Cofferati, Benvenuto e Pezzotta) è completamente opposta a quella degli attuali vertici di Cgil, Cisl e Uil? Due ipotesi, una cattiva e una pessima

“E’ talmente semplice esigere il green pass nelle mense, non so come sia possibile che se ne stia discutendo. E’ la soluzione più ovvia, non c’è da stare a pensarci”, ha dichiarato ieri al Foglio l’ex segretario generale della Cgil Sergio Cofferati. Pochi giorni fa, lo storico segretario generale della Uil, Giorgio Benvenuto, ha usato parole dello stesso tenore: “Sui vaccini non ci possono essere esitazioni. Serve un’intesa sul green pass per incrementare le vaccinazioni, è una garanzia generale per la salute”. E prima ancora, in maniera più dura, si era espresso l’ex segretario generale della Cisl Savino Pezzotta: “Sul green pass la posizione del sindacato è sbagliata, non risponde ai princìpi e ai valori del sindacalismo, che sono solidarietà e responsabilità”.

 

Viene da chiedersi come sia possibile che a prendere una posizione così netta siano solo i grandi vecchi del sindacato. E’ vero che in maniera decisa si è espresso anche un sindacalista di una generazione più giovane, come Marco Bentivogli, che su Repubblica si è rivolto direttamente al leader della Cgil: “Caro Landini, la posizione che hai assunto sull’obbligo di green pass è un errore grave. Abbiamo aspettato per un anno i vaccini, ora che li abbiamo non esistono posizioni neutrali”. Ma Bentivogli ha in comune con Benvenuto, Cofferati e Pezzotta il fatto di non essere più un sindacalista. Com’è possibile, allora, che su una tematica fondamentale come quella del vaccino la posizione degli ex leader sia completamente opposta a quella degli attuali vertici di Cgil, Cisl e Uil? Cos’è successo?

 

Ci sono due ipotesi. La prima è che si tratti di due classi dirigenti diverse, con le precedenti più inclini ad assumersi responsabilità di fronte a passaggi delicati della storia del paese, anche a costo di essere sgraditi e affrontare rischi (come è accaduto durante il terrorismo, con il decreto di San Valentino sulla scala mobile, gli accordi del ’92-’93, le riforme delle pensioni, il Patto per l’Italia e il contratto con la Fiat di Marchionne). Vorrebbe dire che se quei leader si fossero trovati a guidare il sindacato in questa fase avrebbero assunto un atteggiamento più responsabile. L’altra ipotesi, invece, è che a fare la differenza sia la diversa posizione: Benvenuto, Cofferati e Pezzotta sono in pensione e perciò possono permettersi di dire cose spiacevoli per i lavoratori contrari ai vaccini. Ciò vorrebbe dire che se si fossero trovati ora alla guida del sindacato si sarebbero comportati esattamente come Landini, Sbarra e Bombardieri. Anche loro, cioè, avrebbero assunto una posizione ambigua, incoerente e contraddittoria.

 

La prima ipotesi, più probabile, di un vertice del sindacato poco coraggioso e responsabile è sconfortante. Ma la seconda sarebbe più preoccupante, perché presuppone che i lavoratori No vax siano davvero milioni. E sarebbe un problema ben più serio per il paese rispetto a quello di avere una leadership sindacale inadeguata.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali