la testimonianza

“Non fate come me: senza il vaccino ho rischiato di morire”

Riccardo Lo Verso

La storia di un giovane non vaccinato finito in terapia intensiva. Ora spera di convincere gli indecisi: "Oggi sono qui a raccontare la mia esperienza, ma ho temuto di non farcela"

Ci ha pensato troppo, rinviava la decisione di giorno in giorno, condizionato dal “bombardamento social”. Mi vaccino o non mi vaccino? La corda tirava verso la parte no vax, fino a quando non si è spezzata. Michele De Fanis è finito in un letto dell’ospedale Cervello di Palermo. Venti giorni di ricovero, di cui una fetta in terapia intensiva. Ora che è tornato finalmente a casa dice la sua senza se e senza ma, e spera di convincere gli indecisi: “Vaccinatevi subito. Non fate come me. Ho rischiato di morire e sono pentito di avere perso tempo prezioso. Oggi sono qui a raccontare la mia esperienza, ma ho temuto di non farcela”. 38 anni, personal trainer e la convinzione di potere tenere a bada il Covid: “Come tanti ho sempre pensato che era meglio aspettare per capire quali effetti avesse il vaccino, vedere le reazioni che provoca sulle altre persone, se funziona o meno, se i vaccinati si ammalano alla stessa maniera dei non vaccinati. Si vive nella falsa speranza che non possa toccare a te e che prima o poi questa brutta pandemia finirà”. Perché ha pensato tutto ciò? “Perché i social sono invasivi. Si legge che il tizio è morto per questo vaccino e si è ammalato per quest’altro”, ammette candidamente. “Mi sono lasciato condizionare”, aggiunge. 


Il proselitismo no vax fa breccia nel contenitore di Internet dove si è tutti virologi e i miti antiscientifici sono duri a morire: “E’ più facile imbattersi in un post contrario piuttosto che in uno favorevole ai vaccini. Ci faccia caso. Si scrivono e si dicono tante cose, finisci per confonderti le idee, non sai cosa fare e prendi tempo. I giorni passano e alla fine ti trovi in terapia intensiva mentre rifletti sul da farsi”. Soffri per te stesso e per gli altri, che “ti muoiono accanto”.         


Una scelta attendista quella di De Fanis, non radicale. Niente a che vedere con il fanatismo no vax duro e puro. Attendista, ma pericolosissima: “Quando ho deciso di vaccinarmi il virus mi ha beccato. Non so dove l’ho preso, mi proteggevo ma non è servito a nulla”. Febbre alta, un primo tampone negativo, il secondo positivo, le difficoltà respiratorie, la corsa in ospedale: un percorso già visto e sentito tante, troppe volte. All’inizio “pensi di farcela con un semplice saturimetro” e poi all’improvviso ti manca l’aria e non “ti resta che chiamare l’ambulanza e correre verso l’ospedale”. “Ha presente quando uno cerca di respirare, ma non ce la fa? – spiega ancora – Come se ti avessero chiuso dentro uno sgabuzzino senza aria, provi a tirare il fiato e non ci riesci, è cortissimo? Ecco io a ogni respiro mi dicevo ‘vai che ce la fai’ e non ci riuscivo. Giorni e giorni a sperare che andasse meglio e invece non miglioravo”. Per fortuna non tutti hanno provato l’esperienza di De Fanis. C’è da fidarsi del suo racconto, però: “Bisogna vaccinarsi, perché se prendi il virus comunque affronti la situazione con meno rischi. E’ successo a tanti miei amici che sono stati contagiati e hanno avuto conseguenze blande. Io invece mi sono ritrovato con i polmoni fuori uso al 75 per cento”. Adesso per riprendere la funzionalità perduta gli servirà una terapia di 26 settimane. L’approccio del personal trainer ha un tono garbato: “Io non giudico nessuno, però credetemi quando vi dico che ho rischiato di morire. Con il vaccino tutto questo non sarebbe accaduto. Lo dicono i numeri, lo dice la scienza e noi non abbiamo modo e motivo di sostenere il contrario”. 


C’è una cosa che De Fanis ci tiene a sottolineare: “Ringrazio il personale dell’ospedale Cervello, dal medico all’addetto delle pulizie. Si dice che la sanità siciliana lasci a desiderare. Io le dico che non è così. Non smetterò mai di ringraziali per le cure, le attenzioni e il sostegno morale che mi hanno dato. Quando sei in ospedale, da solo, sono loro i tuoi angeli custodi. Sei tu e il personale sanitario, gente che non si risparmia. E’ il loro lavoro, ma lo fanno con professionalità e passione”.
 

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