cattivi scienziati

Un nuovo studio conferma l'efficacia del vaccino. Dibattito chiuso

Enrico Bucci

E’ vero, la protezione da una variante molto infettiva come la Delta decade in alcuni mesi, ma le decine di milioni di infezioni risparmiate in Inghilterra e l’efficacia della terza dose in Israele sciolgono ogni dubbio

Un nuovo report del servizio di sanità pubblica inglese (Public Health England, Phe), appena rilasciato, contiene dati dettagliati circa l’efficacia dei vaccini contro la variante Delta del coronavirus. Sebbene ne abbiamo discusso molte volte, ogni nuova fonte di dati va considerata perché rafforza la base da cui partire in ogni scelta politica circa le misure di contenimento, gli obblighi da imporre ai cittadini, le campagne vaccinali eccetera. Dunque, vediamo: innanzitutto, considerando l’andamento dei casi tra i vaccinati e i non vaccinati fino alla prima metà di giugno, e mettendo insieme gli effetti dei quattro vaccini autorizzati in Inghilterra, il Phe riporta una capacità di prevenzione dei sintomi pari al 79 per cento (in un intervallo di confidenza al 95 per cento compreso fra il 78 e l’80 per cento) e una capacità di prevenire le ospedalizzazioni straordinaria, perché pari al 96 per cento (in un intervallo tra il 91 e il 98 per cento). 


A livello di popolazione, il Phe inglese stima che fino al 20 agosto siano state evitate dai vaccini in Inghilterra 24.088.000 infezioni, oltre 143.000 ospedalizzazioni e 105.900 morti; visto il periodo considerato, queste stime includono l’effetto dei vaccini sulla variante Delta, e danno un’idea del danno che una campagna vaccinale vigorosa come quella inglese ha potuto evitare al Regno Unito. In merito, i calcoli del Phe, basati sui dati osservati, lasciano pochi dubbi: in una serie di grafici pubblicati a pagina 21 del report, si nota l’enorme protezione offerta dai vaccini anche in tema di infezioni a partire da aprile e compreso il picco registrato a luglio, nel pieno dell’esplosione dell’epidemia da variante Delta. E’ ovvio che la protezione non è totale; ed è probabile che nel caso delle infezioni non sia alta come in precedenza; tuttavia, il combinato di diminuzione della probabilità di infezione e diminuzione della probabilità di trasmissione per i soggetti vaccinati costituisce evidentemente un fattore ancora decisivo, visti le decine di milioni di infezioni prevenute (per non parlar del resto).

D’altra parte, che la protezione dei vaccini contro l’infezione della Delta non sia azzerata lo conferma anche un ampio studio di popolazione condotto in Norvegia, appena pubblicato: si nota in questo caso come il tasso di protezione “crudo” dall’infezione sia pari a circa l’86 per cento, mentre quello corretto per una serie di fattori di rischio di infezione (età, provenienza geografica, sesso e altri) è di circa il 65 per cento; questo vuol dire che le infezioni fra i vaccinati da parte della variante Delta sono pari a un terzo di quelle che avvengono fra i soggetti non vaccinati; e siccome il tasso di trasmissione dai vaccinati ad altri soggetti è ridotto (a causa della molto ridotta durata della finestra di infettività), è evidente che, globalmente, a livello di popolazione la protezione è buona, anche se non pari a quella offerta contro le varianti precedenti. Il punto, naturalmente, è che tanto in Norvegia quanto nel Regno Unito è trascorso in media un tempo ridotto dalla seconda dose, rispetto a quanto non sia avvenuto in stati come in Israele; in quel paese, infatti, la protezione sembra essere minore in maniera proporzionale alla distanza intercorsa tra l’esposizione al virus e il completamento della vaccinazione, spiegando così perché gli Israeliani siano rimasti mediamente più esposti all’arrivo della variante Delta.


La decadenza dell’immunità sterilizzante in alcuni mesi (ma non della protezione clinica) sembra quindi essere il fattore decisivo nello spiegare quello che è successo e sta succedendo in presenza di una variante molto infettiva come la Delta; e che questo possa essere il fattore determinante, del resto, lo dimostrano i dati rilasciati in un preprint dagli Israeliani, dati che mostrano come il ripristino dell’immunità sterilizzante attraverso una terza dose di vaccino Pfizer sia sufficiente a recuperare l’efficacia del vaccino a livelli molto alti, anche contro la variante Delta. A questo punto, sembra proprio che tutti i pezzi del puzzle vadano a posto: i vaccini sono efficaci (tutti), ma la protezione dall’infezione decade in alcuni mesi; questo fattore, molto più importante della pur presente immunoevasività della variante Delta, è evidente studiando l’effetto di campagne vaccinali avvenute in tempi diversi in paesi diversi, rispetto al momento di arrivo della variante delta in quei paesi; infine, le decine di milioni di infezioni risparmiate in Inghilterra, oltre a ospedalizzazioni e morti, e l’efficacia della terza dose in Israele dovrebbero costituire, nel loro insieme, un richiamo abbastanza forte per smetterla di porre domande circa l’efficacia dei vaccini, come se non si fossero ottenute risposte.

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