Vaccini a prezzo di costo per i paesi poveri, ma senza sospendere i brevetti
Superato il problema della produzione, resta ora quello del costo. Il prezzo delle dosi resta proibitivo per i paesi poveri. Grazie a una licenza obbligatoria per i brevetti si potrebbe vaccinare la popolazione mondiale e garantire gli investimenti in ricerca
Sembra passata un’eternità da quando mancavano i vaccini per il Covid. Oggi tutto è cambiato. In pochi mesi, le compagnie farmaceutiche sono riuscite a espandere la capacità produttiva a ritmi sorprendentemente elevati. Attualmente producono 1 miliardo e mezzo di dosi al mese, e alla fine dell’anno la produzione totale avrà superato i 12 miliardi. Continuando così, avremo presto abbastanza dosi per vaccinare l’intera popolazione mondiale. Nei paesi ricchi, l’unica carenza rimasta è quella di cittadini disposti a vaccinarsi. A quanto pare quindi il mercato sta funzionando bene, ma non tutti i problemi sono stati risolti. Un nodo che rimane è quello del prezzo, che rischia di limitare l’accesso ai vaccini nei paesi poveri. Cosa che ci riguarda direttamente, dato che la circolazione del virus è un fenomeno globale. Un secondo problema, collegato al primo, sono le varianti. Per far fronte alle mutazioni del virus, potrebbe essere necessario sviluppare vaccini nuovi.
Cominciamo parlando dei prezzi. Quelli di AstraZeneca e Johnson&Johnson sono bassi, ma Moderna e BionTech/Pfizer, più cari fin dall’inizio, hanno ulteriormente aumentato i prezzi dopo che le prime evidenze empiriche hanno suggerito che i loro vaccini possano essere più efficaci e con meno effetti collaterali dei concorrenti. Attualmente, l’Unione Europea spende circa 25 euro a dose per Moderna e 20 per BionTech. Per entrambi, si stima che il costo di produzione sia poco superiore a 1 euro per dose. Il risultato è che queste compagnie, che fino ad ora avevano registrato solo perdite, stanno macinando profitti. Sia per Moderna che per BionTech, si parla di circa 4 miliardi nel primo semestre. Per un paese come l’Italia, il problema del prezzo è relativo. A una media di 20 euro a dose, le 100 milioni di dosi necessarie a completare il primo ciclo di vaccinazione (attualmente ne sono state somministrate circa 80 milioni) ci saranno costate forse 2 miliardi di euro. Non è poco, ma è più o meno il costo economico di una sola settimana di lockdown. O, per usare un altro termine di paragone, un decimo della spesa preventivata per il superbonus 110%. Anche se il prezzo dei vaccini è alto rispetto al costo di produzione, è quindi ancora molto basso rispetto al loro valore d’uso. Per i paesi poveri, però, le cose sono diverse. L’Uganda, per esempio, ha una spesa sanitaria pro-capite di circa 40 euro all’anno. Per acquistare il vaccino Moderna o BionTech/Pfizer ai prezzi correnti in Europa, dovrebbe raddoppiare la spesa. Se vogliamo che i paesi come l’Uganda vaccinino la loro popolazione, come minimo dobbiamo dargli la possibilità di ottenere i vaccini a prezzo di costo. E magari bisognerebbe pensare anche ad un aiuto logistico per la somministrazione.
Come fare? Una possibilità è semplicemente quella di aspettare che l’approvazione di nuovi vaccini e la concorrenza tra le compagnie farmaceutiche abbassino i prezzi. Ma a quanto pare realizzare vaccini efficaci non è così semplice come i rapidi successi iniziali potevano far pensare. E, anche se davvero dovessero presto arrivare nuovi vaccini, non è affatto sicuro che i prezzi diminuirebbero sensibilmente. Un’altra possibilità, di cui si è parlato molto qualche tempo fa, è quella di sospendere i brevetti. Tra qualche giorno, questa proposta dovrebbe essere ridiscussa all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto). Nonostante l’appoggio degli Stati Uniti, tuttavia, è difficile che raggiunga la maggioranza qualificata necessaria per l’approvazione. Forse è un bene che sia così, perché con la sospensione dei brevetti i prezzi dei vaccini scenderebbero non solo nei paesi poveri ma anche in quelli ricchi. Questo sarebbe sicuramente un problema per le compagnie farmaceutiche. Ma forse lo sarebbe anche per la collettività. Infatti non esiste ancora un rimedio definitivo contro il Covid. Abbiamo ancora bisogno di investimenti per la ricerca sia di nuovi vaccini, più efficaci contro le varianti presenti e future, che di farmaci per trattare chi comunque si potrà ammalare. E, in una economia di mercato come la nostra, la ricerca è alimentata dalla prospettiva di profitti elevati per chi ha successo. Chi investirà se la prospettiva è invece quella di essere espropriato?
Bisogna quindi conciliare le due esigenze, assicurare l’accesso alle medicine nei paesi poveri da un lato e preservare l’incentivo all’innovazione dall’altro. E’ possibile? Su queste colonne, ho discusso la possibilità di riorganizzare la ricerca farmaceutica in modo che le istituzioni pubbliche, che non devono fare profitti, possano giocare un ruolo più importante. Ma una simile riforma non si fa dall’oggi al domani. Nel frattempo, l’alternativa esiste ed è già prevista dalle regole del Wto: una licenza obbligatoria dei brevetti. A differenza della sospensione dei diritti di proprietà intellettuale, la licenza obbligatoria consente la produzione del farmaco generico nei paesi poveri, ma senza la possibilità di esportarlo nei paesi ricchi. Questi, che se lo possono permettere, continuerebbero a pagare il prezzo inflazionato che serve a incentivare la ricerca, mentre i paesi poveri potrebbero acquistare i vaccini a prezzo di costo.
Forse non è nemmeno necessario imporre la licenza obbligatoria. La sola prospettiva che si arrivi a questo, accompagnata da una adeguata moral suasion, potrebbe essere sufficiente a indurre le compagnie farmaceutiche a praticare prezzi differenziati nei diversi paesi. Per esempio, Pfizer ha già dichiarato che fornirà il vaccino a prezzi dimezzati ai paesi con reddito intermedio, e a prezzo di costo ai paesi poveri. Per il momento l’impegno è per un numero di dosi limitato, ma segnala una disponibilità interessante. In effetti, le compagnie farmaceutiche non rischiano molto da una politica di prezzi differenziati, dato che la somministrazione dei vaccini avviene quasi esclusivamente attraverso i canali della sanità pubblica, per cui il rischio di commercio parallelo è limitato. La soluzione sembra quindi a portata di mano, basta una piccola spinta da parte dei governi dei paesi ricchi.
*Vincenzo Denicolò è un economista esperto di proprietà intellettuale, insegna all'Università di Bologna