Vaccini, dall'emergenza scarsità all'allarme spreco
Ad aprile Gordon Brown denunciava la carenza di vaccini per i paesi poveri e proponeva la sospensione dei brevetti. Ora dice che c'è il rischio che 100 milioni di dosi vengano buttate. Cos'è successo alla produzione globale e perché i brevetti non erano il problema
L’ex primo ministro britannico Gordon Brown, nei giorni scorsi, ha lanciato un allarme per il rischio di un “disastro” dovuto allo spreco di vaccini, conservati nei magazzini dei paesi del G7 e ormai prossimi alla scadenza: “E’ inconcepibile che 100 milioni di dosi debbano essere gettate via dai paesi ricchi mentre le popolazioni dei paesi più poveri pagheranno in termini di vite perse per i nostri vaccini buttati”, ha detto in un’intervista. Ad aprile, lo stesso Gordon Brown si era fatto promotore insieme ad altri ex capi di stato e premi Nobel di un appello al presidente americano Joe Biden a favore della sospensione dei brevetti dei vaccini contro il Covid: “Queste azioni espanderebbero la capacità produttiva globale – scriveva – non ostacolata dai monopoli del settore che stanno guidando la terribile carenza di forniture che blocca l'accesso ai vaccini”.
In pochi mesi siamo passati dall’emergenza scarsità all’allarme spreco. Questo repentino cambiamento di preoccupazione mostra quanto poco fosse centrata la battaglia per la sospensione dei brevetti. I dati di cui parla l’ex premier laburista sono di Airfinity, società specializzata nell’analisi del settore farmaceutico (dati già pubblicati sul Foglio dell’8 settembre), che mostrano come la produzione globale sia cresciuta rapidamente e possa soddisfare in breve tempo la domanda globale: 12,2 miliardi di dosi entro la fine dell’anno. Ad aprile, quando Gordon Brown scriveva il suo appello, nel mondo si producevano 800 milioni di dosi al mese. In quattro mesi la capacità produttiva è praticamente raddoppiata: da agosto si producono 1,5 miliardi di dosi di vaccino anti Covid. Per farsi un’idea, ora in un solo mese se ne infialano più di quanto fatto in tutto il primo quadrimestre del 2021. E’ il frutto di un rapido processo di scale up e di 231 accordi industriali nel mondo. Già nel 2022, secondo le proiezioni, ci sarà un eccesso di offerta con altri 12 miliardi di dosi prodotte solo nel primo semestre.
Questo scenario è talmente realistico che la tedesca CureVac, in attesa dell’approvazione del proprio vaccino a Rna, ha già rinunciato a due accordi di produzione ridimensionando i propri piani industriali. L’abbondanza di vaccini è già una realtà nel mondo ricco: Stati Uniti, Unione europea, Regno Unito e Canada, pur considerando le scorte per vaccinare tutti e fare anche la terza dose, possono donare ai paesi poveri 360 milioni di dosi già questo mese e fino a 1,2 miliardi di dosi entro fine anno. Si tratta peraltro di vaccini che sono prossimi alla scadenza.
Ma se la scarsità non è (più) un problema, cosa bisogna fare? In primo luogo, accelerare le donazioni di vaccini al programma internazionale Covax, che prevede di distribuire per il 2021 tra 1,1 e 1,7 miliardi di dosi (finora ne sono state consegnate solo 250 milioni). Troppo pochi. Poi bisogna rimuovere i blocchi al commercio internazionale, che creano scarsità. Proprio l’India, uno dei promotori al Wto della sospensione dei brevetti, vieta l’export di vaccini destinati ai paesi in via di sviluppo attraverso Covax, nonostante gli accordi e i soldi presi per rispettare quei patti. Infine, c’è un aspetto forse sottovalutato: bisogna aiutare i paesi poveri sull’infrastruttura logistica necessaria a somministrare in breve tempo tutti questi vaccini. Avere miliardi di dosi è necessario ma non basta: bisogna anche farle arrivare nel braccio di miliardi di persone nei luoghi più impervi e disagiati del mondo.
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