cattivi scienziati
Non occorre essere ivermectinologi per discutere di Ivermectina
Tutto ciò che serve è formulare tesi che possano essere sottoposte al vaglio scientifico, mediante esame formale della struttura logico-matematica, valutazione del supporto proveniente dai dati forniti e se necessario test sperimentale
Uno degli argomenti che più frequentemente si sentono risuonare quando si intavola una discussione scientifica è quello portato soventemente da parte di chi, non condividendo quanto esposto dal suo interlocutore, invece di rispondere nel merito accusa la mancanza di competenza di quest’ultimo. Si noti bene: la competenza è un requisito per poter discutere di certi argomenti, ma per lamentarne l’assenza bisogna riferirsi a quanto esposto e al modo con cui ciò è esposto da qualcuno – non ai titoli o peggio alla supposta distanza fra il tema di cui si parla e l’ambito delle cose di cui ci si occupa solitamente.
Se io scrivo di Ivermectina, per esempio, capita che qualcuno mi rimproveri di farlo in modo inappropriato, come al bar, non perché si guarda al merito di ciò che sostengo, ma perché fra i miei articoli scientifici non ve ne è nemmeno uno che abbia ad argomento qualche mio studio in tema. Se parlo di evoluzione dell’epidemia, è capitato e capita ancora che qualcuno mi rimproveri di non essere un epidemiologo, e quindi di dover tacere in merito. Se contesto la mancanza di prove circa supposti “rabbonimenti” del virus, vi è sempre qualche clinico che vorrebbe estromettermi dalla discussione per non avere ruoli nelle corsie ospedaliere. Se presento conti che dimostrano come la Xylella sia responsabile della malattia che affligge gli ulivi salentini, accade che mi si rimproveri di non essere “sul campo” o di non essere un patologo vegetale; e persino a colleghi che si sono sempre occupati di virus delle piante è capitato di ricevere censure, perché la Xylella è un batterio e dunque non avrebbero diritto a discuterne che certi precisi esperti.
Potrei continuare a lungo con questi esempi, ma qui mi interessa controbattere in linea generale all’idea che se qualcuno non si è occupato in maniera specifica di qualcosa, in ambito scientifico non dovrebbe discuterne. La fallacia di questo argomento sta innanzitutto nello stabilire quale sia il grado di specializzazione richiesto: di Ivermectina chi deve discutere, un Ivermectinologo? E magari solo uno che ne ha testato gli effetti sui virus in prima persona? O addirittura solo chi abbia guardato alla sua azione sui coronavirus? Mi sembra evidente che stabilire soglie su questa base sia arbitrario e tutto sommato stupido.
E allora? Come ci si regola? La risposta è semplice: chi è in grado di esprimere con linguaggio scientifico un fatto di interesse verificabile con dati, propri o altrui, e analisi appropriate. Se a fare affermazioni su Ivermectina che soddisfino a questa proprietà sia un filologo classico, un pasticciere oppure un farmacologo non importa ai fini dell’argomento in discussione; così come, di converso, se a sostenere tesi facilmente falsificabili su Ivermectina fosse un premio Nobel che ci ha lavorato, parimenti la cosa non cambierebbe l’invalidità della tesi in discussione.
Naturalmente, è più probabile che chi conosca un po’ di statistica applicata alla biomedicina, un minimo di biologia molecolare e abbia qualche base di farmacologia e ricerca farmaceutica sia meglio in grado di giudicare e discutere delle supposte proprietà curative di qualche molecola; ma questa probabilità è solo una misura della frequenza con cui ci si attende da colui che ha queste basi una discussione solida dell’argomento, non certo un metro per stabilire quanto pesano i suoi argomenti in una specifica discussione.
La scienza, in altre parole, può contare sulla condivisione di un linguaggio comune – quello dei numeri – e su una sostanziale unità del suo discorso intorno al mondo; dunque chiunque abbia presente qualche fatto di interesse e i termini quantitativi di un problema da discutere, può imbarcarsi nell’esplorazione di quel problema. Se non è del settore, potrebbe capitare che si occupi di qualcosa che è già stato acquisito, o potrebbe ignorare qualche fatto o qualche dato importanti; ed è su questo che chi ha voglia di controbattere è libero di farlo, così come è libero di evidenziare limiti, errori e ambiguità nella tesi dell’interlocutore. In nessun caso, tuttavia, si richiede di essere ivermectinologi per discutere di Ivermectina, aspirinologi per l’aspirina e così via; tutto ciò che serve è formulare tesi che possano essere sottoposte al vaglio scientifico, mediante esame formale della struttura logico-matematica, valutazione del supporto proveniente dai dati forniti e se necessario test sperimentale.
Chi, nello strenuo sforzo di rivendicare l’esclusiva per sé o per altri della discussione di un certo tema stabilisce arbitrari livelli di specializzazione necessaria, per difendere il proprio giardinetto o per squalificare l’interlocutore, incontrerà di certo qualcuno con un pedigree specialistico più puro; e intanto, potrebbe spiegarmi se un fisico esperto di vetri di spin, il novello premio Nobel Giorgio Parisi, avrebbe dovuto specializzarsi in Ornitologia, prima di discutere del comportamento collettivo degli stormi di uccelli.