Cattivi scienziati
Come si smonta uno studio approssimativo di Lancet che offre carburante ai No vax
C'è entusiasmo nella galassia anti vaccinista per uno studio pubblicato dalla rivista scientifica sulla variante Delta. Ma, se si approfondisce la metodologia d'analisi con cui è stato condotto, ci si accorge che il campione d'indagine utilizzato è troppo piccolo per trarre qualsiasi conclusione valida
Uno studio appena pubblicato da Lancet sta facendo particolarmente furore fra i no vax. In breve, ecco il punto che crea scompiglio: nell’ambito di una popolazione di soggetti infettati dalla variante delta in Inghilterra, si è trovato che se, in una casa, l’infezione parte da un soggetto vaccinato o se parte da un soggetto non vaccinato non vi è differenza, vale a dire che nel campione studiato la trasmissibilità del virus da casi indice vaccinati ad altri soggetti è la stessa di quella osservata da casi indice non vaccinati ad altri soggetti, con un “Secondary Attack Rate” (SAR) nel periodo di osservazione pari circa al 25% in entrambi in casi, vale a dire che, in entrambi i casi, un quarto dei soggetti venuti a contatto con qualcuno infetto dalla variante Delta si è infettato, sia che l’infetto di partenza fosse vaccinato che nel caso fosse non vaccinato.
Nello stesso studio, si trova che chi viene a contatto con la variante delta ed è vaccinato, si infetta nel 25% dei casi, mentre chi non è vaccinato si infetta nel 38% dei casi: dunque la protezione dal virus delta mediata dal vaccino esiste, ma nel campione studiato è più limitata di quanto si osservava in precedenza con altre varianti. Gli autori concludono testualmente affermando che i loro risultati “suggeriscono come la vaccinazione non è sufficiente a prevenire la trasmissione della variante Delta fra i contatti che condividono la stessa abitazione e tempi prolungati di esposizione”; e tanto è bastato ad eccitare la fantasia di chi degli articoli scientifici si limita a leggere frasi qui e là, senza andare nei dettagli a guardare i dati riportati.
Ora, vi è differenza tra osservare in uno studio la stessa trasmissibilità a partire da vaccinati e non vaccinati, e desumerne che questo valga per la popolazione complessiva ed in assoluto; da qui la cautela nelle affermazioni degli autori, cautela che sfugge a chi vuole trarre conclusioni premature prima del tempo. Il motivo è molto semplice: il campione di uno studio può essere innanzitutto troppo piccolo per tirare conclusioni, ed in secondo luogo, se del caso, vi possono essere molti fattori confondenti (che su un campione piccolo hanno effetti devastanti).
Vediamo quindi innanzitutto quanto è grande il campione studiato. La realtà è che, contrariamente a quanto fatto trapelare, è molto piccolo: 621 sono i soggetti arruolati nello studio, ma le infezioni causate dalla delta nel periodo di osservazione sono state solo 17 su 69 familiari di 50 soggetti vaccinati, e 23 su 100 familiari di soggetti 63 soggetti non vaccinati. Il tasso di attacco secondario è quindi stimato dagli autori come 17/69=25% se l’infezione parte da un soggetto vaccinato e 23/100=23% se parte da un soggetto non vaccinato. Si tratta di campioni piccolissimi, come un facile esperimento mentale può dimostrare: osservare anche solo 5 infezioni in meno nel campione dei vaccinati porterebbe ad un tasso di attacco del 17%, a sottolineare il peso spropositato dei singoli eventi di infezione su campioni così piccoli.
Del resto, con numeri piccoli può accadere di tutto; se, per esempio, i 17 soggetti infettati nelle abitazioni dei casi indice vaccinati comprendessero anche infezioni passate non dal caso indice, ma dai casi secondari a terzi, ovviamente il numero reale di soggetti infettati dal vaccinato iniziale sarebbe molto minore; di fatto, solo 3 dei casi di vaccinati ipotizzati essere indice nello studio sono stati inequivocabilmente legati (tramite sequenziamento del virus) ad alcuni dei casi secondari osservati.
Vi sarebbe molto, molto da dire sulla pubblicazione di un simile studio, e il lettore può star certo che sarà detto; ma credo che la prova più lampante del fatto che da campioni così piccoli è difficile trarre conclusioni possa venire dai dati dello studio stesso. Se si guarda ai familiari infettati da soggetti parzialmente vaccinati con una sola dose, si ottiene una percentuale di attacco del 37%, molto più alta di quanto si osserva sia per vaccinati che per non vaccinati; se le percentuali calcolate in questo studio fossero affidabili, questo significherebbe che una sola dose di vaccino sarebbe correlata ad una maggiore trasmissibilità del virus, cosa ovviamente difficile anche solo da immaginare.
Vi sono altre bizzarrie notevoli nello studio, ma lo spazio per discuterle non è certo questo. La lezione da trarne, tuttavia, è sempre una, la stessa cui proprio Lancet ci sta abituando sempre più frequentemente: prima di trarre conclusioni, ogni articolo scientifico va analizzato per i dati che porta, non per le frasi che usano gli autori o i giornali.
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