Il Foglio Salute
Oltre il Pnrr. Per una modifica strutturale del sistema sanitario
Programmare investimenti con analisi utili ad anticipare eventi futuri. La riforma che serve alla sanità
Il Servizio sanitario nazionale ha bisogno di programmare, anche oltre il 2026. Anche oltre il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Intendiamoci, attraverso il Pnrr è stata data una risposta straordinaria alla complessità posta dal Covid. Ma non basta: occorrono lungimiranza e visione affinché la trasformazione del nostro sistema sanitario diventi strutturale e continuativa. In questo senso il Recovery plan deve essere accompagnato da un processo di riforma i cui risultati siano garantiti anche una volta esaurita la fase di investimento delle risorse. E’ necessario tornare a un sistema di programmazione degli investimenti sanitari con l’obiettivo di dare forma alle priorità di intervento nel futuro di lungo termine.
La pandemia ci ha mostrato che bisogna ripartire dalla prevenzione e dalla prossimità integrata tra ospedale e domicilio, tra servizi sociali e sanitari, per rispondere a bisogni di salute sempre più complessi e all’aumentata fragilità della popolazione. L’emergenza ha anche evidenziato le carenze del sistema sanitario in ambito tecnologico e le forti disuguaglianze regionali nell’accesso alle prestazioni, riconoscendo all’innovazione digitale il ruolo di fattore abilitante dei sistemi di prossimità. Abbiamo inoltre imparato che la ricerca gioca un ruolo fondamentale e riconosciuto che la partnership tra pubblico e privato può essere molto più che un mero strumento di finanziamento. Il Pnrr ha destinato al settore salute un importo pari all’8 per cento del totale. Si tratta di 15,5 miliardi di euro ai quali aggiungerne altri 1,7 nell’ambito del React Eu e poi 2,9 del fondo complementare, per un ammontare complessivo pari a circa 20 miliardi. A tutti gli effetti un’enorme opportunità di sviluppo per il nostro servizio sanitario, a patto ovviamente di sfruttarla come tale.
Ed è qui che arrivano i nodi ancora da sciogliere. A partire dal Documento di economia e finanza approvato pochi giorni fa dal governo che prevede una spesa sanitaria decrescente per il biennio 2022-2023 (-2,3 per cento medio annuo) e in crescita solo nel 2024 dello 0,7 per cento. Il rapporto con il prodotto interno lordo si attesterebbe così, a fine periodo, al 6,1 per cento: non diverso dal passato e ancora troppo basso rispetto ai principali paesi europei. Come se non bastasse, c’è poi il fenomeno dei cosiddetti incompiuti, ben noto a chi si occupa di salute nel nostro Paese. Ovvero, riforme fondamentali avviate ma mai portate definitivamente a compimento, che servirebbero soprattutto a traghettare il sistema italiano verso il varo di una prospettiva di lungo periodo. Nello studio dal titolo “Programmare dopo la tempesta”, l’Istituto per la Competitività (I-Com) ha individuato molti di questi incompiuti tra cui, per citare i più importanti, vi sono i nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea), le linee guida nazionali sulla telemedicina e la riforma sulle sperimentazioni cliniche.
Nel primo caso, ad esempio, il grande assente è il cosiddetto decreto tariffe, senza il quale l’accesso ai nuovi Lea, di fatto, non è garantito. Nel campo della telemedicina, invece, è stato posto un importante tassello all’accordo Stato-regioni sulle “indicazioni nazionali per l’erogazione di prestazioni di telemedicina”. Anche in questo caso, però, i problemi sono ancora numerosi: dalla frammentazione a livello regionale alla necessaria formazione del personale medico e infermieristico, fino alle dotazioni tecnologiche delle strutture sanitarie.
Il completamento di ciò che è rimasto incompiuto deve essere, però, solo il primo passo verso la programmazione sanitaria del futuro. Da qui si deve partire per ampliare il modello di presa in carico, come previsto pure dal Recovery plan italiano. Per andare oltre bisogna predisporre nuovi modelli di investimento che aumentino l’efficienza e la produttività del servizio sanitario, trasformandolo e innovandolo. Non occorre quindi solo garantire che le risorse stanziate siano effettivamente spese per raggiungere gli obiettivi fissati, ma programmare gli investimenti con strumenti di analisi utili ad anticipare possibili eventi futuri, come ad esempio l’arrivo di nuove tecnologie mediche o il mutare delle condizioni demografiche ed epidemiologiche. Solo in questo modo saremo in grado di conservare i traguardi raggiunti, ma anche di creare un sistema capace di adattarsi rapidamente al contesto. In una parola sola resiliente.
Eleonora Mazzoni è direttrice dell'Area Innovazione I-Com
Trattamenti farmacologici
Anche l'Italia si sveglia e frena sull'uso dei bloccanti della pubertà
Rapporti alla mano /22