Il Foglio Salute
Per preservare la sanità serve tagliare l'Iva e non l'Irpef
Questa manovra assomiglia al gioco del bastone e della carota. Non è più possibile che siano i cittadini a rischiare di non potersi curare
Per la riduzione della pressione fiscale saranno messi a disposizione 9 miliardi di euro, dei quali 4 dovrebbero essere destinati alla Sanità e comprendere il finanziamento di 12mila borse di studio in più destinate a specializzandi e 2 miliardi destinati al piano anti Covid. Tutto molto bene in teoria, ma c’è una considerazione da fare: quello che forse i più non sanno, o se lo sanno dovrebbero comunque tenere a mente, è che parte dell’Irpef versato dagli italiani va a finanziare la Sanità, e quindi a fronte dello stanziamento in più di risorse messo sul piatto ora, che però è frutto di una situazione emergenziale e che quindi non possiamo ritenere una prassi che continuerà nel tempo, assisteremo a una progressiva diminuzione dei fondi che arriveranno dalle buste paga degli italiani a favore del Servizio Sanitario Nazionale. Lo dico subito e chiaramente: non penso certamente che i lavoratori dovrebbero essere sottoposti a una maggiore pressione fiscale, non certo in un momento in cui il mercato del lavoro si sta lentamente riprendendo dalla crisi generata dalla pandemia e in cui si stanno raggiungendo dei risultati importanti sulla parità salariale (il ddl sulla parità salariale tra uomo e donna è legge da pochi giorni). Il punto è un altro, ovvero che se nel breve periodo potremo contare su dei fondi stanziati dal governo, a lungo termine il rischio che questi fondi non vengano erogati nella stessa misura, unitamente alla diminuzione della quota Irpef, potrebbe portare a una situazione complessa di erogazione delle prestazioni.
Detta in altri termini, diventa sempre più concreta la possibilità che si apra ancor di più la forbice che divide chi potrà permettersi assicurazioni private e fondi integrativi e chi invece no. I primi potranno garantirsi la salute, i secondi dovranno fare i contri con un Servizio che sconta già oggi i ritardi delle prestazioni generati nei mesi in cui molte persone non hanno potuto accedervi per questioni logistico organizzative (legate alla limitazione del rischio di contagio) o non l’hanno voluto fare perché spaventati dalla pandemia. Mi pongo una domanda: perché il taglio riguarda l’Irpef e non l’Iva? Ci sarà forse dietro un disegno che punta a tutelare alcune categorie rispetto ad altre? In questi termini sembra che il ceto medio sia destinato a rimanere medio: questa manovra assomiglia al gioco del bastone e carota, e pur essendo meritevole nelle intenzioni, va osservata nella sua complessità. Non è più possibile che siano i cittadini a rischiare di non potersi curare: a tutti loro è stato chiesto di fare la loro parte, è stato promesso che la politica si sarebbe occupata del loro benessere. Ecco, il benessere passa anche da qui, dal garantire che il nostro sistema sanitario di stampo universalistico, che negli anni è diventato un modello di efficienza, rimanga un esempio di funzionalità e di garanzia per tutti. Tocca al governo fare la propria parte, e la deve fare ora con la massima trasparenza.
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